Un milione di motivi per andare

Succede anche alle migliori, succede pure a Lady Gaga, non capisco perché non dovrebbe succedere anche ai comuni mortali.

Di che cosa stiamo parlando?

Di trovarti una sera come tante, ad ascoltare con il repeat i Dire Straits e a chiederti cosa non stia funzionando.

E a chiederti perché, nonostante il cielo sia azzurro, tu sia in ferie e la tua vita sia meravigliosa, tu abbia quella sgradevole sensazione addosso.

Certo, quello che succede a Lady Gaga non è sempre rilevante a fini statistici, come potete osservare dalla foto sotto

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Ma è anche vero che fino a poco tempo fa la nostra Lady si accompagnava a questo pezzo d’uomo, prima di dirgli #ciaone, quindi qualcosa più di noi l’avrà sicuramente capito. Sentite cosa dice nella sua canzone Million Reasons e poi capirete di che parlo. In sostanza parla dei milioni di ragioni che lui le ha dato per andarsene, nonostante lei cercasse anche un solo buon motivo per rimanere.

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Poi Lady Gaga vedi tu, io non ho trovato tutti questi motivi per andarmene, se vuoi con lui resto io, no problem!

Dicevamo, succede a tutte no?

Anni, anni e anni a dichiararsi immuni a qualsiasi tipo di sentimento che non sia rivolto al gelato alla vaniglia, ai cani o alla pizza. Anni, anni e ad anni di lotte per la parità, anni e anni al grido di no ma io sono diversa, no ma a me credimi non succede, no ma va ma io gli uomini me li mangio, ma che me ne frega– e poi ti piove dal cielo qualcuno.

Eh già. Perché il diavolo mica viene da te con le corna e la faccia rossa. Lui si presenta da te travestito da quello che hai sempre desiderato.

O forse da quello che hai sempre creduto di desiderare, prima di renderti conto che da qualche parte nella tua testa devi aver fatto un po’ di confusione tra quello che credi di volere, quello che credi di meritare, e quello che vuoi davvero, e, soprattutto, che meriti davvero.

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Sono un pirata, sono un signore. Not today Satan, not today. Forse Julio è più credibile di Lady Gaga.

Poco conta come sia quel qualcuno che ti è piovuto dal cielo. Un attimo prima eri la persona più decisa e coraggiosa del mondo, un attimo dopo sei così.

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Un attimo prima non ti passava neanche per l’anticamera del cervello di perdere anche solo cinque minuti del tuo tempo ad aspettare il messaggio di qualcuno, adesso sei arrivata a volerti bere il suo profumo. Un roba commercialissima che arriva da Sephora, oltretutto, dopo anni passati a scovare profumi di nicchia dai nomi impronunziabili in giro per il mondo.

Un attimo prima tutta presa dalla tua vita, poi non sai come ti svegli una mattina nel suo letto, dopo aver dormito un’ora e mezza, pensando pure che mentre dorme pare ancora più bello. E, diciamo la verità, nessuno è bello mentre dorme. E tu sei lì, che da una parte pensi che ci vorresti rimanere per tutta la vita in quel letto, che vorresti inchiodare delle assi alla porta di casa per stare per sempre così. Dall’altra parte senti una vocina dentro di te che dice:

E’ la persona migliore del mondo tranne quando non lo è.

E senti già le tue amiche che ti dicono:

Lui non è mai la persona migliore del mondo.

Tu che dici: lui mi capisce.

E le tue fidatissime amiche: bella, bionda e dici sempre sì. Ti capirebbe anche un uomo primitivo.

Tu ribatti: lui mi fa ridere.

Che scassapalle queste amiche eh: se aprissi gli occhi e iniziassi a ragionare, capiresti che non c’è proprio niente da ridere.

No, ma loro non capiscono. Replichi: lui è troppo figo.

Eccole che iniziano a sfregarsi le mani: Sì? Definisci figo. Dai, raccontaci quanto.

E a quel punto tu non sai che dire, e giungi alla conclusione che forse si dovrebbero fare un po’ di più gli affari loro. Che ormai siamo tutte adulte, che ognuna ha la propria vita, che ognuna è libera di fare quello che vuole della propria vita, che siamo donne responsabili, emancipate e bla bla bla. E per qualche motivo non sei in grado di fermarti a ragionare un minuto- tu che di norma in un minuto sbrogli degli intrighi internazionali, cucini una sacher e racconti la trama di Grey’s Anatomy a qualcuno che non l’ha mai visto- non sei capace di ragionare per quel minuto e per capire che le tue amiche hanno solo ragione. E che farebbero molto volentieri a meno di spiegarti per la tredicesima volta di fila, di notte, dopo un pacchetto di sigarette e cinque o sei caffè, perché non stai andando da nessuna parte.

E’ una storia vecchia come il mondo, e le tue amiche sanno benissimo come ti senti, perché ce l’hai scritto in fronte come ti senti: male.

Perché già conoscono il soggetto in questione e tutte le variazioni sul tema, ci siamo passate tutte almeno una volta. E’ fidanzato ma la lascerà, è fidanzato ma non la lascerà, è sposato ma non fa sesso con sua moglie da anni, è single ma è molto preso dal lavoro, è in un momento della sua vita in cui non sa cosa vuole, sta passando un momento un po’ stressante, è uno sportivo e non ha molto tempo da dedicare alle relazioni, ha solo un carattere strano, credo sia timido, è solo spaventato, siamo troppo amici, è un solitario per natura, ha un rapporto complicato con la madre, forse se continuiamo a fare sesso si innamorerà di me prima o poi. Ha questa storia con una, ma a lui non frega nulla, sta solo cercando il momento buono per dirle che è finita. Litiga in continuazione con me ma solo perché mi ama davvero. Mi ha tradito perché era ubriaco. Lui è stato chiaro, ci stiamo solo divertendo.

Già.

Strano caso, questo, in cui siamo tutte innamorate dello stesso uomo. Sono mille persone diverse, ma, incredibilmente, devono aver studiato tutti dalla stessa parte, e sanno fare una cosa sola: concederti un piccolo angolo della propria vita, a cui tu sei bravissima ad attaccarti disperatamente, e a vederci il mondo dentro, quando in realtà, in proporzione, si tratta solo di una capocchia di spillo. Il genere di uomo che sa approfittare del tuo momento di debolezza quando sei davvero presa, e fa di te esattamente ciò che vuole e quando vuole.

Non sono da biasimare, non del tutto. Loro lo fanno, noi glielo permettiamo. Vale la regola che non è che perché una va in giro con il viso scoperto allora è una buona idea prenderla a schiaffi, ma la soglia del buonsenso, come ho sperimentato, non è sempre molto alta negli uomini. Uomini che hanno fatto del passare la patata bollente della scomoda decisione io sono così, scegli tu se ti va bene o no uno sport olimpico. Uomini che sono consapevoli di trovarsi davanti qualcuno che in quel momento, causa infatuazione, non sarebbe in grado nemmeno di scegliere se ordinare una pizza margherita o quattro stagioni.

Il problema è che soggetti del genere non girano con addosso una segnaletica luminosa. Qualcosa del tipo: sono una testa di cazzo GUAIO scritto a caratteri luminosi in fronte.

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Comunque pare che per il 2018 stiano brevettando un rilevatore per casi del genere.

No No. Ti si presentano, come nella miglior tradizione satanesca, travestiti da quello che hai sempre voluto. Un bel sorriso. Una simpatia contagiosa. Un modo di fare brillante. Dei modi irresistibili. Delle mani sempre messe avanti, e mille buone giustificazioni preventive per comportamenti osceni che stanno per mettere in atto. Quando poi te ne accorgi, spesso è troppo tardi. Forse perché arrivano quando hai la guardia abbassata. Forse perché vanno a prendere quell’unico punto debole dentro di te che hai nascosto così bene. Forse perchè attiriamo addosso quello che crediamo di meritare, e spesso crediamo di meritare poco, pochissimo.

Ora, io non so perché, ma ne ho viste davvero tante di donne così, e non sarei qui a scrivere se non fosse successo anche a me. Mille volte mi sono chiesta, guardando me stessa, ma soprattutto guardando le tante, incredibili, fantastiche, strabilianti donne che conosco, cosa ci spinga a comportarci così. A tuffarci di testa in qualcosa che è evidente essere una disgrazia già dal minuto uno. Già dai primi comportamenti poco chiari, dall’evidente assenza di disponibilità emotiva, dall’evidente mancanza di voglia di impegnarsi anche solo per conoscerti davvero. Per sapere ad esempio che sei mancina, che la scritta che hai tatuata addosso è una citazione del Satyricon di Petronio fatta dopo il peggior momento della tua vita, che non mangi sushi e che adori Edith Piaf anche se in fin dei conti le sue canzoni non piacciono a nessuno. Per sapere che adori il Natale, anche se è infantile, e ti conoscono così poco da dimenticarsi pure di farti gli auguri. Per sapere che il caffè lo bevi americano di mattina e espresso durante il giorno, e che una volta ti sei iscritta ad un corso di arrampicata ma non era roba per te.

Torno a ripetere, il problema non è tanto che qualcuno là fuori si comporti così con noi. Il problema è che per qualche motivo arriva per tutte quello a cui permettiamo di farlo, nel peggiore e più doloroso dei modi. Quello che ti fa credere di meritare così poco da farti iniziare a dubitare pure di te stessa. Quello che ti dà così poco da farti credere che quel poco ti deve bastare. Quello che ti dà un milione di motivi per scappare lontano già alle prime, evidenti avvisaglie, e invece tu resti e continui a scavare a fondo, nonostante quel famoso, unico buon motivo per restare non esista.

Questo poi si riflette in tutto il resto della nostra vita: se questi sono i messaggi che diamo all’universo, questo è quello che l’universo ci darà indietro. Questo circolo vizioso di negazione del proprio valore personale si estende a macchia d’olio, con degli effetti disastrosi già visibili da subito. Se ci abituiamo ad accontentarci, impareremo a farlo su tutti i fronti. Dopo una vita di battaglie per alzare gli standard, dopo una vita a sgomitare cercando di fare il meglio che possiamo per noi stesse, ecco i nostri ideali che svaniscono come neve al sole per qualcuno che non ha nessuna intenzione di far parte davvero della nostra vita.

Attenzione alle trappole mentali: sono trappole, sono mentali. La cattiva notizia è che le creiamo noi, quindi funzionano benissimo. La buona notizia è che le creiamo noi, e quindi siamo anche in grado di smontarle. Sì, è vero che ci siamo cacciate in una fossa di sabbie mobili, ma è anche vero che siamo arrivate lì con le nostre braccia, e che siamo in grado di usarle anche per fare il percorso inverso ed uscirne. Io e te siamo amici vuol dire esattamente io e te siamo amici, non vuol dire forse prima o poi se te ne stai buona in un angolo mi innamorerò di te. E questa solo per citarne una, una delle più classiche. Sono sicura che siamo tutte bravissime e molto creative nel disseminare tagliole lungo il percorso. E’ ora di andare a recuperarle tutte e fare in modo che siano innocue.

E’ ora di elencare, come ha fatto Lady Gaga, il milione di motivi per lasciare lo show, perché di buoni motivi per rimanere invischiate in relazioni del genere proprio non ce ne sono.

Là fuori c’è un mondo che aspetta, e ci sono milioni di buoni motivi da ricordare per innamorarci di noi stesse.

Le relazioni sbagliate possono avere dinamiche infinite, ma hanno una sola grande costante: sono basate sulla paura. Paura di non essere in gradi di sentirsi ancora così. Paura di non essere abbastanza e di doversi accontentare di questo. Paura di aver paura. Paura di pentirsi di aver detto addio. Che sia un fidanzamento che va avanti da anni, che sia un matrimonio sbagliato, che sia una frequentazione dolorosa, non esiste nemmeno mezzo motivo per portarle avanti. Ma neanche mezzo.

La paura è una fregnaccia. Se ce l’ha fatta Lady Gaga nonostante vada in giro coperta di rane e di carne bovina, credetemi, ce la possiamo fare anche noi a bruciare i ponti dietro di noi, serviranno solo per illuminarci vie più giuste e più nuove.

Ascoltiamole, le nostre amiche. Sono le stesse persone che ci sopportano quando siamo in sindrome premestruale, almeno questo glielo dobbiamo. Affidiamo il nostro cuore a mani più sicure delle nostre, quando non siamo in grado di scegliere.

Poi, Lady Gaga, se vuoi donare alla comunità il tuo ex marito, fai pure.

Noi non ci offendiamo.

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Buon compleanno al mio cane che non c’è più. Tanti auguri Paris.

Ciao Paris,

esattamente un anno fa ero sicuramente seduta a questo stesso tavolo dove sto scrivendo ora, con te da una parte, Timmy dall’altra, Dorothy in braccio, e davanti un piatto con un hamburger e una candelina. Così per undici anni, di cui l’anno scorso è stato l’ultimo.

Non potevo certo sapere che fosse l’ultimo: uno dei grandi misteri della vita è che le cose te le dà e te le toglie all’improvviso, e forse l’unico senso che possiamo trarre da questa cosa, è che un senso non c’è, e che bisogna vivere e apprezzare le cose finché ci sono.

In questo caso specifico, in effetti, tu, Timmy e Dorothy siete tra le poche cose della mia vita su cui non ho rimpianti, da questo punto di vista: forse un po’ controtendenza, forse non capita da tutti, ma per me una gigantesca fetta del mio tempo è sempre stata quella di stare con voi, proprio perché non sapevo per quanto sareste rimasti con me, e volevo poter usare tutto il tempo che avevo nel migliore dei modi, senza arrivare poi a pensare un giorno che avrei voluto fare di più. Il mio unico rimpianto è quello di averti dovuto dire addio troppo presto: che poi, lo so io, lo sai tu, questo mica è un addio. E’ un arrivederci, o forse è solo un addio alla tua forma più fisica, ma io so che tu sei qui con me.

Questa è una delle cose più difficili che io mi sia mai trovata a scrivere: so che non sono obbligata a farlo, ma so anche che se voglio dire una cosa lo devo fare scrivendo, perché è l’unico modo in cui mi sento in grado di esprimere davvero quello che ho dentro (con esiti più o meno gradevoli, questo poi non lo so). E’ tutto il giorno che ci penso, anche se ho fatto finta di non farlo, e ho cercato di tenermi impegnata il più possibile, ma poi arriva sera, la giornata finisce, ti trovi inevitabilmente sola con i tuoi pensieri, e pensi.

Penso in primis a quanto manchi: tanto. A volte è meglio esprimersi con semplicità per definire l’assoluto, quindi dico che manchi tanto. Un tanto che è un vuoto incolmabile, un tanto che non si può nemmeno descrivere, un tanto che è così tanto che cerco di non pensarci, ma anche se sono passati mesi, ogni volta che mi viene in mente, e questo succede svariate volte al giorno, mi sento un vuoto nello stomaco, e mi sento che quasi mi manca il respiro. Sento che questo è uno dei casi in cui ci si trova davanti alla vera vita, e non ci sono caxxi che tengano: per superare certe cose, devi passarci attraverso. Come diceva Winston Churchill, if you are going through hell, keep going. E quindi accetto di buon grado di passarci attraverso, anzi, a volte mi ci butto proprio dentro di testa, su questo cammino, perché ho il terrore di dimenticarmi del tuo profumo, il modo in cui inclinavi quelle orecchie gigantesche quando sentivi un rumore sospetto, a come eri in grado di saltare agilmente sul tavolo per rubare qualsiasi cosa io stessi mangiando, e allo stesso tempo a come sapevi essere pigra quando volevi essere presa in braccio per salire sul mio letto. Penso a come era rassicurante la tua sagoma quando ti intravedevo da uno specchio, e niente, tu eri lì, e sapevi di casa. So che magari ad occhi estranei può sembrare strano scrivere una lettera di auguri al proprio cane, ma chi ha la fortuna di avere un cane sa benissimo che in fin dei conti è un affetto come un altro, come se fosse una persona. Per me non è un cane che se ne è andato, ma una presenza. Poco importa che si muova su quattro zampe e non sia in grado di parlare: certi scodinzolii sono più eloquenti di una dichiarazione d’amore.

E tu eri così, eri una dichiarazione d’amore continua, perché ogni cane lo è. Eri, anzi sei, un pezzo di questa famiglia. Il fatto che arrivassi da un canile ti rendeva ancora più speciale, e sarò per sempre io a dirti grazie, e a dirti che tu sei la mia dichiarazione d’amore costante, perché mi hai insegnato l’affetto nella sua espressione più pura e disinteressata. Perché mi hai insegnato che sono più le nostre azioni che le nostre parole a definirci come esseri umani, e io ho scelto di essere un umano che vive con degli animali, e sento che questa è una delle cose più belle, più forti e più importanti della mia vita, che mi identifica come persona e che è e sarà sempre una parte di me. Mi hai fatto capire per cosa sono fatta, anche perché sei il primo cane che è arrivato dopo che qui ci sono stati dei cambiamenti grossi, e sei un pezzo della nuova famiglia che si è formata un po’ di anni fa. Insomma, sei un po’ come la numero uno di Paperon de Paperoni, sei il nostro pezzo da collezione.

Darei non so cosa, ma dico davvero, per poterti abbracciare anche solo un secondo.

Ma poi mi dico che va bene così. Che sei stata così tanto che ogni secondo avuto l’abbiamo usato bene. Sei stata il cane più amato sulla faccia della terra e il tuo essere così serena mi fa capire che lo sapevi, e che il nostro amore lo potevi sentire tangibilmente, e che, ovunque tu sia, lo senti ancora. Quando uno decide di prendere un cane, che poi non è prendere, che sa troppo di possesso, è aprire la propria vita ad altri tipi di amore, è un rischio che sai di correre. Sai che la sua vita sarà più breve della tua, e non ti rendi conto di quanto il tempo sia in grado di volare fino a che non ti succedono cose del genere.

Questi undici anni sono passati in un soffio, e li porterò nel cuore tutti e undici, in ogni loro fantastico istante.

Tanti auguri Paris, ovunque tu sia, io sono lì con te. Spero che tu possa mangiare i biscotti della mamma, e che siano anche più buoni di quelli al bacon che ti davamo qui.

Con amore infinito e una nostalgia incredibile,

Buon compleanno alla mia piccolina.

Quello che ho imparato nei miei primi 32, quasi 33 anni

  • Gli animali sono meglio delle persone, soprattutto di certe persone. Non sarai mai in grado di restituire a un animale tutto l’amore che ti ha dato
  • Se non ti chiama, non ti scrive, non ti chiede di vederti, rassegnati, non gli piaci abbastanza. La paura è una fregnaccia, sono troppo impegnato è una fregnaccia, vivo in un altro stato è una fregnaccia. Mio nonno è tornato a vivere dal Belgio all’Italia per sposarsi mia nonna, e lei nemmeno gliel’aveva data. Almeno, cosí dice mia nonna
  • Una persona ubriaca non è mai un bello spettacolo. Non essere padroni di sè non è mai una buona cosa
  • Superati i trenta ci sono cose su cui non è possibile risparmiare, e queste cose sono gli orologi, i cosmetici per la faccia e il parrucchiere
  • Troppo trucco non ti farà sembrare una diva da tutorial, ma solo un transessuale creativo. Con tutto il rispetto per i transessuali
  • Dalla. Meglio una volta in piú che una in meno, che te la tieni lí a fare?
  • Quel meraviglioso metabolismo dei vent’anni, in cui mangi una pizza senza sembrare la Bambina Mirtillo della Fabbrica del Cioccolato il giorno dopo, è un bel sogno destinato a dissolversi prima dei 30: approfittane finchè puoi
  • Non è mai troppo presto per prendersi sul serio
  • Se devi ucciderti di film e serie tv, almeno guardale in una lingua straniera. Ti servirà molto piú di quanto tu possa immaginare.
  • Quando a scuola ti dicono che sei intelligente ma non ti applichi, impara ad applicarti davvero. Arriverà il momento in cui non ti starai applicando abbastanza, ma non ci sará un professore a ricordartelo, e lí saranno cazzi tuoi. Applicati sempre piú che puoi.
  • Non è mai troppo tardi per ribaltare la tua vita e non sei mai troppo vecchia per ripartire da zero, e te ne puoi accorgere solo facendolo
  • Tieni in ordine l’armadio
  • La sindrome premestruale ti fa mettere almeno due kg, ti rende pelle e capelli orribili e in certi stati è considerata un’attenuante in caso di omicidio: ti tocca una volta al mese, sii in grado di riconoscerla quando arriva
  • Usa il preservativo. Usane due. Se non ce l’hai piuttosto vai in bianco, ma usa il dannato preservativo
  • Impara a difenderti, anche da chi ami. Soprattutto da chi ami. E impara a capire anche quando è il momento di abbassarle le difese
  • Tinder è da sfigati
  • D’amore non è mai morto nessuno
  • Impara a dire sí
  • Non sentirti in colpa a dire no
  • I soldi sono fatti per essere spesi. Per mangiare, per viaggiare, per fare shopping, per riarredare la tua casa, per comprarti una serie di cose inutili e idiote che ti daranno un sacco di soddisfazione: back to basics un par di palle, sí, hai bisogno dell’ennesimo paio di jeans neri
  • La te di qualche anno fa, benche ti sembrasse scema e immatura, è un tantino piú intelligente di quanto pensi: se ha lasciato quel fidanzato, aveva i suoi buoni motivi. Evita di rivederlo per poi scoprire che la te di qualche anno fa aveva giá fatto la scelta giusta. I ritorni di fiamma son buoni solo per le grigliate. Più salamelle, meno ex rimbambiti
  • Abbi il coraggio di essere quello che sei, di far valere le tue idee, di andare anche contro a dei muri se serve: sei su questa terra per essere felice, e solo tu puoi sapere cosa ti faccia felice davvero
  • Fai volontariato
  • Leggi: ti apre la mente. Ed è fikissimo sapere un sacco di parole che non tutti sanno
  • Fai sport
  • Struccati prima di andare a letto
  • Pochi amici ma buoni: non sai quanto ne avrai bisogno
  • La pizza della mamma è sempre la piú buona. La pasta della mamma è sempre la piú buona. Qualsiasi cosa, fatta da tua madre, sará sempre più buona
  • Non ci sono piú gli uomini di una volta
  • In effetti non ci sono piú gli uomini
  • Usa un profumo che ti rispecchi, e tienitelo per sempre
  • Chiama le persone per nome
  • A 33 anni non sei abbastanza navigato da sapere quello che vuoi, ma sicuramente lo sei da aver capito cosa non vuoi: identifica quello che non vuoi ed evitalo come la peste. Nel mio caso ho capito che l’egoismo non lo posso tollerare
  • Avere un figlio è il compimento di un desiderio, non un percorso obbligato. Non a tutti piacciono i bambini. Sei una donna esattamente come chi ha tre figli, anche se tu hai scelto di non averne. Non sei sbagliata, non sei incompleta, non ti manca un pezzo. Hai semplicemente scelto cosí
  • Single è bello. Anzi non è bello, è FANTASTICO!
  • Vai a sentire piú concerti che puoi
  • Non sei obbligata a mettere i tacchi
  • In caso di dubbio, coda, dolcevita nero e pantaloni neri, e puoi andare anche su un red carpet a Hollywood
  • La nail art NO
  • Il destino esiste
  • Il fatto che la vita ti abbia dato dei legami di sangue con determinate persone è casuale: non sei obbligata ad amarle, capirle o accettarle
  • Dormire meno di otto ore per notte ti ridurrà presto un rottame
  • Impara a mangiare bene
  • Ci sono certi brufoli che vanno schiacciati
  • La prima impressione è sempre quella che conta
  • Non guardare tv spazzatura
  • Il sushi è dannato pesce crudo. Nessuno dice che ti debba piacere
  • Dio non è un mercante che ti paga il sabato
  • Quelle di Sex and the City hanno sempre ragione. Soprattutto Samantha
  • Come dice il saggio twittatore dell’immagine di questo post, a un certo punto dovrai scegliere se la magrezza o la pizza. Scegli la pizza, tanto non sarai mai uno degli Angeli di Victoria’s Secret. 
  • Vivi

Buona festa delle donne a quelle che donne lo sono per davvero

E’ da qualche giorno che leggo e sento uno strano fermento in giro per l’8 marzo. Roba che nemmeno al concerto di Sandy Marton nell’87 se ne è parlato così tanto.

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Cioè, voglio dire, People from Ibiza.

Ah, scusate, dimenticavo. Sì, sono tornata. Vi ero mancata vero?

*silenzio*

*risate preregistrate di Benny Hill*

Ok, scherzavo. Bè, sono tornata, prima o poi scomparirò di nuovo. La stabilità del resto non è mai stata il mio forte.

*sospiro di sollievo in sottofondo*

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da Insanity

Ora, possiamo ad esempio partire da qui. Partiamo dal fatto che se c’è qualcuno che ha la brillante idea di associare delle donne ad uno spogliarello maschile o a un’orda assatanata di creature anguicrinite che la sera dell’8 marzo escono a caccia, manco fossimo la dinastia dei Volturi usciti direttamente dal set di Twilight, è perché noi lo permettiamo.

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E’ perché qualcuna di noi lo ha fatto (giuro, non io. Ho fatto cose peggiori, molto peggio di queste, ma a uno spogliarello maschile non ci sono mai andata).

Ora, dico io. Ma per quale assurdo motivo per festeggiare la festa della donna, sempre ammesso che sia una buona idea farlo, a molti esseri di sesso femminile viene in mente di tirare fuori i propri lati peggiori? Quale tra i comportamenti aberranti che assumono le donne quando sono in gruppo dichiara a gran voce

Sono una donna e sono fiera di esserlo?

 

A mio avviso la festa della donna dovrebbe essere semplicemente un giorno di riflessione.

Un giorno di profonda riflessione per chiederci, proprio in quanto donne, dove siamo, quanta strada abbiamo fatto, e dove siamo dirette. Se voi che andate agli spogliarelli maschili o uscite ad ubriacavi in massa come autotrasportatori polacchi (che non me ne vogliano gli autotrasportatori polacchi, hanno comunque il loro perché eh) siete dirette da quella parte, fate pure. Ma così non state festeggiando l’essere donna, state buttando all’aria anni di battaglie e conquiste.

Volete andare a vedere uno spogliarello maschile? Benissimo, metteteci la faccia e fatelo tutti i giorni, non solo alla festa della donna. perché ormai la parità dei sessi esiste, e non si scandalizza più nessuno sentendo quanto siete trasgressive da avere strappato degli slip di lycra ad un energumeno unto e gay.

Volete uscire a caccia?

Benissimo, allora fatelo sempre. Non aspettate che sia l’8 marzo.

Rivendicate il vostro diritto di essere persone ancora prima di essere donne, e fate quel cavolo che volete quando vi pare, perché la parità è questa, ma, per carità del cielo, non usate un giorno così nobile per farne il simbolo di concetti così stupidi.

Voi siete molto più di questo.

Noi tutte siamo molto più di questo.

Passate questo giorno per riflettere davvero su cosa voglia dire essere donna.

Essere donna vuol dire, al giorno d’oggi, mostrare che non solo sappiamo essere belle e sappiamo fare quanto gli uomini, ma che abbiamo anche una testa, e la usiamo. Questa è la vera frontiera dell’essere donna, ragazze, non andare a urlare sotto ad un palco spalmando di crema Nivea scaduta il quadricipite di un ventenne muscoloso. Quello fatelo in privato. Anche se in privato ci sono cose più divertenti di quella da fare, ma de gustibus.

La vera sfida dell’essere donna sta nell’arrogarci il diritto di essere accettate anche con la nostra intelligenza, e ad esercitarla quando e come ci pare, insieme ad una scollatura clamorosa, senza per questo essere tacciate di essere pericolose, troppo forti, troppo spavalde, troppo aggressive.

Essere donna vuol dire poter scegliere, poter scegliere di essere quello che vogliamo essere, quello che vogliamo fare, che direzione vogliamo dare alla nostra vita, senza cadere nella banalità di quelli che ci dicono che dobbiamo fare dei figli per forza, che dobbiamo avere successo per forza, che dobbiamo sposarci per forza, o che dobbiamo saper cucinare per forza.

Essere donna vuol dire flirtare come un uomo senza essere accusate di essere delle poco di buono: questa è la parità dei sessi, questa è una cosa che ancora non abbiamo raggiunto.  Essere donna vuol dire vedere delle rughe sul contorno occhi e sbattercene, perché sapete che vi dico?

Se è figo George Clooney con quelle autostrade intorno agli occhi, bè allora noi lo possiamo essere di più.

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o no?

Essere donna al giorno d’oggi vuol dire smetterla di credere che senza un uomo al vostro fianco non siete nessuno: ci sono così tante cose da fare, da vedere, così tanto da scoprire dentro di noi che una vita sola nemmeno basta, è così fondamentale avere un uomo qualsiasi di fianco giusto per poter dire di non essere sole? Che poi se siete sole che succede, che viene il Babau a prendervi di notte?

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Che poi pare che il Babau sia lui, se mi vuoi rapire non ho nulla in contrario, solo, magari, dimmelo prima, che mi metto la biancheria intima coordinata 😉

Il giorno della festa della donna dovrebbe essere usato per riflettere, e riflettere non vuol dire uscire in branco come sei o sette sfigate, bevendo un tristissimo margarita mentre parlate del perché i vostri fidanzati non buttano la spazzatura. Del perché non vi sentite valorizzate. Del perché sentite questo orologio biologico che ticchetta e lui non si vuole impegnare. Usato per riflettere perché siete finite con elementi del genere, perché siete scese a compromessi con voi stesse, perché da gloriosi e splendidi essere umani vi siete abbassate ad essere un complemento dei maschi, del perché la vostra vita gira intorno a loro e non a voi. Là fuori c’è un mondo, ed è un vostro sacro dovere andarvelo a prendere.

Il giorno dell’8 marzo dovrebbe dare un senso a tutti i reggiseni bruciati, all’imbarazzo di quelle che hanno smesso di depilarsi perché hanno creduto in un ideale (che detto così fa un po’ ridere ma è la verità), a quelle che sono scese a protestare per il diritto di voto, per il diritto di divorzio. L’8 di marzo dovrebbe dare un senso alle battaglie delle madri single, che ancora adesso vengono viste come delle mosche bianche, delle single che madri non sono e non vogliono essere, e che ancora si devono trovare a giustificare davanti a facce imbarazzate il perché di questa scelta; l’8 marzo deve dare un senso alle single che a prescindere dall’essere madri sono felici di essere single e non sono dei mostri.

L’8 marzo è dedicato a tutte le donne che non sono perfette ma si sentono belle, e lo sono, a tutte le donne che non si fanno abbattere dagli Angeli di Victoria’s Secret (preferirei farmi abbattere dall’esercito dei loro fidanzati che saranno fighi almeno quanto loro), a tutte le donne che vogliono far carriera in un mondo del lavoro che è ancora troppo sessista, alle donne che sono donne a prescindere, anche se non hanno voglia di mettersi dei tacchi o di mettersi in tiro, e sono perfette lo stesso. A tutte le donne che invece in tiro si mettono senza un motivo particolare, e non per questo devono sedurre qualcuno. A quelle che non è che perché sono belle non possono essere pure intelligenti. A quelle che sono belle e intelligenti e lo vivono come un handicap, perché il nostro futuristico mondo non è ancora pronto ad accettare questo. C’è gente pronta a far partire delle persone per Marte, ma una donna bella e intelligente viene ancora vista come una che fa paura.

Ma paura de che, scusate? Non è che se una è bella e intelligente vi mangia, generalmente continuiamo a prediligere la pizza e il tiramisù.

L’8 marzo è dedicato alle donne che si vogliono divertire, esattamente come fanno gli uomini, senza per questo essere accusate di essere amorali. E’ dedicato alle donne che non si prendono sul serio, e che vivono la vita come essere umani, e non solo come donne. E questo, care amiche, siamo noi che dobbiamo dimostrarlo. Sta a noi dimostrare che non siamo solo donne, ma siamo persone: dopo mille battaglie sulle necessità primarie, ora ci tocca l’ultima, la più difficile di tutte.

Come possiamo vincere questa battaglia?

Smettendo, ad esempio, di declassare la categoria femminile andando a quei dannati spogliarelli. Smettendo di riunirci come galline impazzite per far leggere a tutte le amiche i messaggi di un uomo e chiedere un parere. Siate così impegnate ad essere veramente voi stesse, a trovare dentro di voi il significato della parola donna, da non avere nemmeno più il tempo per leggere i messaggi dello sciamannato di turno.

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Riflettete su dove eravate, dove siete, e dove vorreste andare. Ascoltate le risposte che vi date, purché vengano davvero da voi stesse. Ecco, magari non ascoltatele proprio tutte alla lettera, perché a volte siamo bravissime a cacciarci nei guai. O perlomeno, io sicuramente lo sono, e a volte qualcosa dentro di me mi suggerisce di andare in direzioni in cui non dovrei assolutamente andare ma, bè, anche questa sono io.

Accettate quello che siete, essere umani ancora prima di essere donne.

Buona festa della donna a tutte, con l’augurio di volerle tenere tutte le vostre rughe, perché saranno il ricordo di ogni vostra grande battaglia.

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Perché ci piace Leonardo di Caprio

“Ma ha la faccia da bambino.”

“Sì, va bè, ho capito, ti piace perchè sembra un bravo ragazzo.”

“Ovvio che vi piace, è biondo e con gli occhi azzurri.”

“E’ un attore, è miliardario. Se fosse uno qualsiasi che incontri in un bar vorrei proprio vedere. Voi donne a volte non ragionate proprio.”

Il classico uomo che incontri ogni mattina in un bar nella stazione della metropolitana M1, fermata Sesto FS.

Ora, non so voi, ma a me non è che capiti esattamente tutti i giorni di incontrare un personaggio del genere in coda al supermercato, una di quelle persone che con un cenno nervoso mi porge stizzito il divisore della spesa, mica che i miei barattoli di nutella e tranci di pizza ai quattro formaggi le mie verdure fresche bio si possano casualmente mischiare alle sue bottiglie di acqua Evian e ai suoi barattolini di caviale. Pfui!


Il mio primo ricordo di Leonardo di Caprio risale alle scuole medie. Quella era un’epoca strana, in cui era normale indossare dei Levi’s marrone e tingersi i capelli come la cantante degli Aqua, quindi vi do atto che il periodo storico non è in nessun caso valido come punto di riferimento per qualsiasi elemento degno di un’accettabilità sociale. Voglio dire, parlo di un’epoca in cui il Festivalbar era l’evento mediatico dell’estate, e  il Karaoke di Fiorello mieteva più vittime della grande peste del ‘300.

Da adolescente assetata di sapere leggevo un po’ di tutto, e in quella mischia incredibile, tra pubblicazioni degne di nota e libri tutto sommato decenti, ci finivano dentro anche Cioè, Top Girl e Magazine. Ora, Magazine era quello un po’ più alternativo, che trattava temi più scottanti e argomenti meno edulcorati per i più forti di cuore (indimenticabile lo scandalo di quando Scary Spice decise di abbandonare le Spice Girls), certo è che tutte queste pubblicazioni ad alto contenuto scientifico, oltre a dare interessanti e utili consigli su come evitare di rimanere incinta con un bacio, e su come truccarsi alla moda con degli utilissimi Uniposca in omaggio nel prossimo numero, erano concordi nell’affermare una cosa: l’ascesa di questo giovane divo.

Nella fattispecie non questo in copertina. era solo un esempio a scopo dimostrativo.

Non amo particolarmente le persone dall’aspetto nordico: non che io abbia chissà quale forma di vessazione contro i biondi, ma il mio gusto ricade spesso e volentieri sull’uomo mediterraneo. Devo però ammettere che Leonardo di Caprio, ai miei occhi di quattordicenne, risultava sicuramente belloccio.

Mi sono gustata ogni film di Leonardo di Caprio dai tempi di Buon Compleanno Mister Grape e quello che ho visto negli anni, con il procedere dei suoi film, è che  è un attore che si è saputo reinventare ogni volta in un ruolo diverso, con una credibilità simile a quella che raggiunge la sottoscritta dichiarando ogni dannato lunedì allo specchio: “Da oggi sono a dieta”. Io ci credo davvero. Nella dieta del lunedì, e nelle poliedriche interpretazioni del nostro Leo.

Partiamo da un presupposto: siamo donne, e in quanto tali a volte tendiamo ad idealizzare, come qualunque essere umano: anche gli uomini lo fanno. Quando vedete Belen che è uscita di casa come se si fosse appena svegliata, non capite quello che noi capiamo immediatamente ad occhio nudo: ha addosso più trucco di quello che una donna media indosserebbe a una festa in maschera, sono mesi che si ammazza di Crossfit e dieta, seguita da tre personal trainer, un nutrizionista e un massaggiatore, ha un personal stylist che le indica esattamente cosa si debba mettere addosso per sembrare una che si è appena alzata dal letto, un parrucchiere, un truccatore, abita in centro Milano e ha da fare solo ed esclusivamente quello, ed è anche pagata molto bene per farlo. Capite che non è esattamente la stessa cosa di quando la sottoscritta o altre donne normalissime come me si svegliano di sabato mattina, si infilano addosso la prima cosa che trovano e nell’armadio (e con prima cosa che trovo nell’armadio posso anche intendere un residuato bellico del 2002, come dei pantaloni palazzo rosa scuro), si sciacquano la faccia per decenza, mostrando segni e imperfezioni, con i capelli aggrovigliati, e si dirigono verso l’ipermercato più vicino per comprare Saccottini del Mulino Bianco scontati al 50% grazie all’uso oculato e strategico della Fidaty Card.

In casi come questi io sento di avere bisogno non solo di un team di professionisti dell’immagine, ma anche di un life coach, di un prete, un esorcista e dei Ghostbusters.

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Sì, Sì, vi chiamo sabato mattina. Grazie.

La stessa cosa succede nella nostra testa quando vediamo Leonardo di Caprio: ovvio, che lo smoking che gli calza perfettamente è opera di un sarto, che anche lui avrà parrucchiere, truccatore ed ufficio stampa alle spalle, ma la grande differenza è che noi donne questo lo sappiamo benissimo, ma in lui vediamo altro: vediamo il fascino nella relativa normalità di una faccia che, se estrapolata dal contesto hollywoodiano, potrebbe anche essere banale. Per noi Leonardo di Caprio non è solo un attore di Los Angeles biondo e con gli occhi azzurri (fin lì ci possiamo anche arrivare che già il ruolo stesso lo catapulti nell’olimpo dei sex symbol), è ciò che vediamo di lui nei suoi film a risultare attraente.

E’ quella capacità di essere un giorno un detective psicopatico, un giorno un artista sexy e squattrinato, il giorno dopo il Grande Gatsby.

No, dico, il Grande Gatsby.

Cioè, parliamo di Jay Gatsby, che è uno degli uomini più affascinanti e fighi della letteratura del ‘900. Non stiamo parlando di Leonardo di Caprio che interpreta Magalli  in un cinepanettone eh. Parliamo del Grandy Gatsby. Scusate tanto, ma prima di lui Gatsby è stato interpretato da Robert Redford. Che è un altro sex symbol di fama mondiale. E a parte ciò, qualcuno lo ha ritenuto degno di interpretare uno degli uomini più interessanti nella storia dell’umanità.

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Incontrato l’altro giorno in coda dal benzinaio. Tipico esempio di Italiano medio.
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Il Grande Gatsby per le donne è esattamente come Cicciolina per gli uomini: un mito.

E’ stato credibile come Lupo di Wall Street, è stato divino come schiavista in Django, Leonardo di Caprio mi convincerebbe anche a vedere l’anima di mia madre al demonio, senza nemmeno fare troppa fatica.

Leonardo di Caprio ci piace perchè è esattamente quel genere d’uomo che ti dice

Ti chiamo domani

E sappiamo esattamente che non lo farà, ma va bene lo stesso.

E’ lo stesso genere d’uomo che dice

Tu sei diversa dalle altre

e tu sai che è veramente una balla spaziale, ma è così credibile che per qualche motivo ci credi.

Ora, del perchè noi donne crediamo a tutto ciò che ci viene detto, o meglio, vogliamo credere a tutto ciò che ci viene detto, è un’altra storia, ed è un tantino più lungo e complicato da spiegare. Ma in buona sostanza il vero motivo per cui Leonardo di Caprio ci piace non è l’attaccamento morboso a sua madre Irmelingli yacht da mille e una notte con cui gira nel mondo, o le sue relazioni con le modelle più famose del pianeta: ci piace solo ed unicamente perchè è la persona meno rassicurante del mondo, dietro a quella sua finta aria da  bravo ragazzo.

Ci piace perchè ognuna di noi, almeno una volta nella vita, si è chiesta come ci si senta ad essere Rose in Titanic, quando un affascinante sconosciuto la ritrae nuda, vestita solo di una diamante che pesa quanto una teglia di melanzane alla parmigiana di mia nonna (tanto).

Cose che succedono tutti i giorni.
Cose che succedono tutti i giorni.

Ci piace perchè almeno una volta nella vita ci siamo chieste come sarebbe stato incontrare su un aereo un pilota come lui in Prova a prendermi.

Non importa che non abbia l’addominale scolpito, e altri dettagli in realtà poco degni di nota.

Ci piace perchè è in grado di farci sognare.

Cosa che gli uomini che incontriamo in coda al supermaercato, al distributore di benzina, hanno smesso di fare da tempo, troppo concentrati a fare palestra per definire gli addominali, pensando che saranno il dettaglio che ci conquisterà.

No, cari miei.

Vi dirò un segreto…

Fateci sognare.

Leo, non importa se non hai ancora vinto un oscar, tu li hai già vinti tutti nel mio cuore.

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Leo che sta esultando per aver vinto l’oscar del mio cuore.

 

Appuntamenti al buio mal riusciti

Si dice che capirai l’idea che i tuoi amici hanno di te guardando le persone con cui tentano di farti accasare. Se è questo il modo per capire più di noi stessi e delle nostre relazioni, ecco il possibile motivo di un sacco di crisi di identità.

Lasciate che vi racconti una storia successa qualche anno fa.

Tanto, in questo periodo buio che sono i mesi che vanno da gennaio alla primavera, dove i fasti del Natale sono ormai lontani, la Pasqua (con conseguenti abbuffate e vacanze) è solo un miraggio, l’unico conforto lo danno le frittelle di Sant’Antonio, e non c’è molto da fare nelle fredde sere d’inverno.

Sentite qua.

C’era una volta una ragazza. Una ragazza tendenzialmente bella, intelligente e abbastanza alta. Una ragazza che proprio perché era abbastanza alta amava gli uomini alti. Tenete a mente questo dettaglio perché è cruciale. Questa ragazza, benché fosse in gamba, intelligente e tutto quanto, era rimasta da poco single in seguito a una brutta, brutta vicenda che implicava un ragazzo alto un po’ troppo convincente, dei tradimenti, un sacco di bugie e altri dettagli con cui non vi starò a tediare. La ragazza, da poco single, faceva tutte le cose che fanno le ragazze che hanno improvvisamente perso un fidanzato: bamboline vodoo, telefonate anonime minatorie, meditava di farsi suora, giurava e stragiurava che non avrebbe mai più voluto sentire parlare di uomini, eccetera, eccetera eccetera.

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Like this.
Un giorno una persona molto vicina a questa ragazza, una persona che la conosceva molto bene, le dice:

Senti, non me ne frega niente se ti sei lasciata da poco, se sei giù di morale e non hai voglia di uscire. Io ho conosciuto uno che secondo me è l’uomo della tua vita e tu adesso ci esci, io te lo voglio presentare. E’ simpaticissimo, è bello, adora gli animali, e poi, insomma, sembra Hugh Jackman.

Ora, va bene che la ragazza non aveva problemi nello stare sola, e non aveva proprio voglia di conoscere nessuno, ma questa, signori, è una proposta che non si può rifiutare: voglio dire, si parlava di Jugh Jackman, non di Little Tony. E io sono sicura che nessuna ragazza sana di mente rifiuterebbe Hugh Jackman, nemmeno in punto di morte.

In tempo di guerra ogni buco è trincea. Non dimentichiamolo.

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Hey, Ciao Hugh 😉

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No, non peggio per te. Peggio per me se esco con te, Tony.
Il presunto Hugh Jackman con un cipiglio degno di nota telefona alla ragazza:

Senti, mi dicono che vogliono farci conoscere. Ora, queste situazioni sono sempre imbarazzanti, quindi che ne dici se saltiamo i convenevoli e ci diamo direttamente un appuntamento, così almeno ci leviamo il pensiero?

Molto bene Hugh, pensa la ragazza. Uno che va dritto al punto. Sembra essere anche molto simpatico e spigliato, si danno appuntamento per il week end seguente.

La ragazza salta a piè pari l’analisi sociologica dei social network, fidandosi dell’amica. Male, molto male: un errore che si rivelerà fatale.

Mentre si avvia verso il luogo dell’appuntamento, riceve una telefonata da colei che ha fatto da tramite: nel corso di questa telefonata emergono alcuni inquietanti dettagli che danno una nuova sfumatura a questa situazione: la tramite ha casualmente rivisto il presunto Hugh Jackman poche ore prima, e ha dedotto che forse non è così alto come sembrava (intendi dire che gli hanno segato via le gambe nell’ultima settimana, o che non lo è mai stato?) e che sembra essere pure antipatico (da quando Hugh Jackman è antipatico?).

La ragazza, perplessa, decide di recarsi comunque all’appuntamento, sperando con ottimismo che la tramite prima di quella telefonata avesse assunto una massiccia dose di crack che sfasava le sue percezioni sensoriali.

Ahimè, arrivata in loco, si rende conto non solo che il ragazzo in questione non è alto (leggasi, nano), non solo che è antipatico (molto antipatico), non solo che non sembra Hugh Jackman, e che a ben vedere forse sembra anche un po’ Little Tony (peggio per me), ma la serata si rivela essere drammatica, imbarazzante, noiosa, e si conclude con un sms fuori luogo dopo aver passato tre ore a parlare di…politica:

Per me è stata una bella serata, dato che l’ho passata guardandoti le  tette.

Io non credo che Hugh farebbe così.

Quindi, per circoscrivere la situazione, parliamo di una persona lontana dai gusti della ragazza (ragazza alta che ama uomini alti e che non ama parlare di politica). Parliamo anche di una persona vagamente priva di savoir faire, che se ne esce con un sms fuori luogo a conclusione di una serata sterile e noiosa quanto un comizio politico alla Festa dell’Unità di Cremella.

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Una riproduzione in scala dei protagonisti di questa storia
Chiaramente la protagonista della storia sono io (e ahimè non ero ne il tramite ne il nano), e questo ci conduce alla questione centrale di questo post: appuntamenti al buio mal riusciti, ovvero:

Gli appuntamenti al buio sono una pessima, pessima, pessima idea.

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Una pessima decisione come dire di sì ad un appuntamento al buio?
Perché, signore e signori, non importa quanto tu sia felice (o infelice) da single, esisterà sempre un’anima pia ben decisa a presentarti qualcuno per permetterti di accasarti. Per salvarti da un’orribile vita di solitudine e scatolette di tonno mangiate da sola mentre guardi vecchie repliche di Candid Camera la sera di San Valentino.

Esisterà sempre un’anima pia che tenterà di presentarti qualcuno così almeno ti sistemi.

Scusate, ma fatemi capire, sono sistemata solo se ho un fidanzato? Cosa sono da single, una specie di clochard sociale? Una creatura che vive ai margini della società in attesa di un uomo che arrivi a salvarmi e a sistemarmi?

Attenzione: con l’avvicinarsi di San Valentino il momento diventa caldo e fertile per le nuove conoscenze. Misteriosamente amici e parenti tenteranno di farti incontrare casualmente chiunque respiri chiunque possa avere anche solo una vaga compatibilità con te, per darti l’opportunità di smettere di essere quella strana senza un fidanzato.

-Ehi, c’è questo mio amico…ha due gambe, due braccia, ha addirittura tutti i denti!! Ha molte cose in comune con te!

-Ah si? Ad esempio?

-Gambe, braccia, mani, denti.

-Mmmmhhmmm ho da fare questa sera, non posso uscire. Ho la faraona in forno, aspetto un archeologo per cena. 

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Faraona al forno. Vedete, a rimanere single si perde anche il senso dell’umorismo.
Nel corso della mia vita, benché io non abbia mai manifestato particolare interesse nel conoscere amici di amici per tentare di fidanzarmi, hanno tentato di propinarmi di tutto, e quando dico di tutto, intendo anche un ragazzo che aveva un’espressione un po’ particolare, per la quale la faccia era contratta in un ghigno perenne- è anche stato picchiato in metropolitana da un gruppo di malintenzionati che erano convinti che il mio potenziale fidanzato stesse ridendo di loro (#truestory).

Ora, io non vorrei risultare discriminatoria, per carità del cielo, sono la prima sostenitrice del fatto che ogni essere umano è perfetto nelle proprie imperfezioni, ma sarei ipocrita dicendo che l’aspetto fisico non è importante: lo è, eccome, soprattutto negli appuntamenti al buio, perché deve esserci qualcosa che ti cattura. Poi, oltre a quello c’è molto altro, se arriva un tizio stupendo ma che non è in grado di formulare una frase di senso compiuto risulta comunque poco attraente, ma almeno come primo biglietto da visita l’aspetto fisico conta: mi piacerebbe che i miei amici non mi vedessero come un caso così disperato da doversi accompagnare a scatola chiusa al ghigno diabolico.

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Slappy ha sempre il suo perché
Mi piacerebbe che le persone che mi stanno intorno non tentassero di propinarmi il finto sosia di Hugh Jackman in miniatura.

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Una cosa del genere. Almeno posso metterlo in borsa e portarlo sempre con me.
Mi piacerebbe in generale che le persone che mi stanno intorno, se proprio sentono di essere state investite da questa missione divina che è cambiare il mio status sociale da single a fidanzata, almeno considerassero le mie preferenze di base in materia di uomini.

Sia chiaro, non ho nulla contro le persone basse, solo che non ne sono attratta, esattamente come ci sono persone che non sono attratte dalle ragazze bionde, dalle ragazze alte, dalle ragazze basse, dai ragazzi con i capelli ricci, e via dicendo. A mia discolpa, ad esempio, posso dire che non amo gli uomini con gli addominali scolpiti. Saranno anche belli, ma a me non fanno impazzire. E’ solo una questione di gusti, non di discriminazione.

Il punto è proprio questo: capita raramente che a un appuntamento al buio si presenti qualcuno che soddisfi le caratteristiche che tu cerchi in una persona, perché chi ti propone i potenziali partner non tiene conto di queste tue preferenze: sei single, non dovresti essere single, non essere schizzinosa e vedrai che se ti impegni magari riesci pure a fartelo andare bene. Oppure, ancora peggio: sei così chiusa nei confronti della vita! Lanciati un po’, dovresti conoscere gente nuova, altrimenti non troverai mai nessuno!

Questo è il motivo per cui io ho smesso di dire sì quando tentano di presentarmi qualcuno: la vita al giorno d’oggi è un casino tale che ci manca solo di incappare in qualcuno che non va bene per te e che devi cercare di farti andare bene per non deludere le aspettative di chi te lo ha presentato. Siamo già bravissimi ad incasinarci con persone che scegliamo noi, con cui partiamo con i migliori presupposti, e con cui generalmente finisce comunque in disgrazia  in una maniera complicata, figuriamoci se già partiamo con il presupposto di qualcuno che ci siamo fatti andare bene. Ma a prescindere, se anche fosse solo per una sera, perché deveo perdere il mio tempo con qualcosa che molto, molto probabilmente si rivelerà un disastro? – O, quantomeno, un’esperienza da inserire nel parterre di memorie improbabili  che un giorno potreste narrare in un blog come questo. Fate vobis.

Ora, io per fortuna ho un carattere piuttosto deciso, e se qualcosa non mi va bene non c’è verso di convincermi. Ma non sono sempre stata così: ci sono stati momenti, in passato, in cui anche io ho vacillato sotto il peso di queste convinzioni sociali. In cui mi sono lasciata quasi convincere da questi meccanismi, arrivando quasi a sentirmi sbagliata per il fatto di essere sola e per il fatto che non mi interessavano le persone che mi sono state presentate. A volte mi hanno presentato anche persone in gamba, persone simpatiche, ma avevano tutte qualcosa in comune: non andavano bene per me. Non mi piacevano, o dentro, o fuori, o entrambe le cose. Ora penso a chi è più facilmente influenzabile, a chi ha un carattere meno forte, a chi si sente meno a proprio agio della sottoscritta nella condizione di single, e magari finisce per andare incontro a una delusione. A una brutta serata. A una perdita di tempo. Non fatevi fregare, nel 99% dei casi non sarà un appuntamento al buio a condurvi dall’amore della vostra vita.

Queste situazioni sono l’ennesimo corollario della pressione sociale che grava sulla maggior parte dei single: è come se apparentemente ci sia qualcosa di così sbagliato nello stare felicemente da soli che ognuno si deve prodigare per aiutarti ad interrompere questa triste condizione.

Ora, poniamo caso che mi si rompa la lavatrice, il che potrebbe essere un bel problema: non credo che la maggior parte delle persone che conosco si farebbe avanti proponendomi, come forma di solidarietà, un elettricista o un bravissimo ballerino di Tip Tap  quando io, eventualmente, avrei bisogno di un idraulico. Qui è la stessa cosa. A volte le persone ci propongono qualcosa che è diametralmente opposto a quello che stiamo cercando- o che non stiamo cercando ma che se capitasse potrebbe anche andare bene, solo per soddisfare una convenzione sociale vecchia come il cucco che sarebbe ora di sradicare. Si sta bene soli. Si sopravvive a un San Valentino da single. Anzi, si vive bene, e si evita di doversi comprare degli orrendi completi intimi di pizzo rosso, e di finire in un ristorante affollato e addobbato con palloncini a forma di cuore ovunque, pieno zeppo di coppie che il giorno dopo molto probabilmente ricominceranno a tradirsi, a non sopportarsi, ad intrecciare relazioni clandestine con altri,

mantenendo però una parvenza rispettabile da coppia.

E vorrei anche aggiungere che se non siamo in grado di stare bene da soli, dovremmo ficcarci in testa che non sarà l’arrivo di qualcuno a caso, tipo Hugh Jackman a una festa di brutti sosia di Hugh Jackman, a risolvere questo problema. Questo problema si risolve in primis imparando a stare bene da soli. Come spesso accade, la risposta ad un problema è nascosta nel problema stesso, se sappiamo osservare bene.

Facciamo un esempio ancora più estremo: poniamo caso che la mia lavatrice funzioni benissimo: succede forse che chi mi incontra per caso mi propone un idraulico così tanto per? O un ballerino di Tip Tap nel caso la mia lavatrice si rompesse?

Guardate che è esattamente la stessa cosa.

Solo che quando si parla di lavatrici rotte, o di qualsiasi altra cosa, nessuno si sente in dovere di mettere il becco, o di aiutarti. Magicamente, invece, quando si tratta di questioni sentimentali, diventano tutti Marta Flavi in Agenzia Matrimoniale.

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Poi non so a voi, ma a me sembrano così terribilmente anni ’80 gli appuntamenti al buio…esattamente come Marta Flavi.
Poi, chiaramente, questa è una visione generale. Ci sono anche storie di appuntamenti al buio ben riusciti, che cito giusto per dovere di cronaca, anche se io ne ho sentito un solo caso in tutta la mia vita. E sapete perché? Perché gli appuntamenti al buio sfidano la prima grande legge dell’attrazione che è la spontaneità. Perché un appuntamento al buio leva tutta le bellezza dell’osservare qualcuno, del desiderare di conoscerlo meglio, di poterci passare del tempo insieme. Te lo piazzano lì davanti, e tu lo guarderai senza ascoltare quello che dice, chiedendoti perché mai le tue amiche abbiano pensato di presentarti una persona che non avresti guardato nemmeno se fosse stato l’ultimo uomo sulla faccia della terra. Vale per le donne, ma vale anche per gli uomini. Vale un po’ per tutti, nessuno escluso.

Qualcuno che ci viene presentato non è qualcuno che abbiamo osservato e che abbiamo deciso essere compatibile con noi: è qualcuno pescato dal nulla, che combacia con la percezione che i nostri amici hanno di noi, che inevitabilmente sarà molto diversa con la vera percezione che abbiamo di noi stessi.

Le persone che mi sono piaciute di più (perché sì, anche io sono stata attratta, innamorata, e non sono sempre stata il demonio in gonnella che sono ora) sono persone che ho incontrato per caso. Uno l’ho incontrato nel parcheggio di un supermercato, e ai tempi aveva rapito il mio cuore, ed è uno dei ricordi più incredibili che ho. Un altro è una persona di cui ho scoperto essere innamorata solo molto tempo dopo che lo conoscevo, anche se non avrei mai immaginato di innamorarmi di lui. Un altro l’ho conosciuto in vacanza. Un altro in discoteca (ricordate quello alto, un sacco di bugie e tradimenti?). Si ok poi anche basta, perché ho 32 anni, non 72, e a una certa il numero di ex partner si esaurisce.

Come dice Seneca, il destino trascina i ribelli e favorisce chi lo segue di buona voglia: non forziamo la mano. Nessuno vuole che Seneca si arrabbi.

Sono sicura che dietro l’angolo ci sia Hugh Jackman che mi sta aspettando, prima o poi lo incontrerò. Sono sicura che ci sia uno Hugh per ogni persona single del mondo, che sta aspettando di incontrarci- magari per gli uomini eterosessuali non sarà proprio Hugh, almeno spero per voi.

Abbiate pazienza, prima o poi la vita ve lo metterà davanti, e non sarà un amico di un amico che vi hanno presentato per vedere se poteva scattare una fatale scintilla.

Va bè, d’accordo. Magari non proprio Hugh. Speriamo solo che non sia Little Tony.

#IoDicoNoALittleTony

 

Cari vent’anni, non vi rimpiango.

Perché a vent’anni è tutto ancora intero, perché a vent’anni è tutto “chi lo sa”, ma a vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età.
(Francesco Guccini)

Se ripenso ai miei vent’anni, mi viene in mente una discreta quantità di alcool scadente, di discoteche dove ci si agitava al ritmo di musica sincopata (visti dall’alto, probabilmente, sembravamo un esercito di gamberi che sguazzavano in una piscina gigante e piena di lustrini).

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Insomma, molto poco Elizabeth Taylor allo Studio 54.

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Insomma, un po’ troppo P-Gold 2004.
Mi vengono in mente una serie di amori insensatamente struggenti e finiti male, una sequela di pomeriggi passati a bighellonare e di sabati sera a passarmi una mano sulla coscienza al contrario dicendomi che anche se non avevo una gran voglia di uscire, bè, in casa che ci stavo a fare?

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Ho fatto del mio meglio ma già allora la mondanità non faceva per me.
Alzi la mano chi, in quel magico e tragico lasso di tempo tra i 18 e i 28 anni non ha mai preso pessime, pessime decisioni. Magari avete semplicemente tentato di scappare di casa (qualcuno di mia conoscenza l’ha fatto dopo essere stata beccata in momenti intimi dai propri genitori, e ha pensato di riempire la valigia di sopravvivenza solo con rasoi per depilarsi e tanga di pizzo, perché, insomma, why not?- perdonami, so che stai leggendo, ma ogni volta che ci penso non riesco a smettere di ridere), altri semplicemente avranno avuto degli incredibili blackout dopo nottate brave, altri avranno fatto delle scelte sessuali discutibili. Altri avranno provato droghe che con il senno di poi avrebbero preferito non provare, altri si saranno lanciati in relazioni molto sbagliate, in viaggi poco divertenti, in scelte non precisamente sensate per il proprio futuro (parlo di quelli che, per esempio, si sono fatti tatuare il nome di un fidanzato addosso), o hanno osato look imperdonabili, e qualsiasi altra cosa vi possa venire in mente che sia riconducibile al calderone delle esperienze.

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Non sono io, lo giuro. ma intendevo anche questo.
Ci terrei a precisare che non sono mai stata una ragazza particolarmente interrotta: insomma, nessuno ha mai tentato di sbattermi in riformatorio, anche se mia madre all’apice della mia età della stupidera, che è stata un po’ di tempo prima del mio ventesimo compleanno, mi aveva paventato un collegio svizzero come una possibile alternativa; provengo da una famiglia normale e piena di sani principi, non mi sono mai drogata (nemmeno per provare), non sono mai stata una forte bevitrice (a parte in rare, rarissime occasioni di cui conservo un ricordo confuso e sfuocato, una delle quali ha fatto si che io mi risvegliassi in una città a 30 km di distanza- mamma, se stai leggendo, perdonami- sono successe anche cose più strane, quando avevo vent’anni, ma questa è un’altra storia).

Non ho traumi infantili degni di nota, se escludiamo l’aver studiato dalle suore e l’aver partecipato a delle puntate di Indovina Chi? come capitano della squadra blu- se ve lo state chiedendo, ero una di quelle bambine insopportabili che dava le direttive agli altri componenti della squadra.

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True story. Comunque ho anche vinto. Ha gli occhiali? No, No, No, Sì!!!!! Come potete vedere padroneggio ancora le strategie di gioco. Che vecchia volpe.
Capite bene, quindi, che sono una ragazza come altre mille, fondamentalmente tranquilla e normale. Ho fatto il liceo, poi l’università, ho lavorato, avevo delle amiche, ho avuto dei fidanzati, ho fatto le mie cazzate, mi sono fatta dei tatuaggi di cui non vado molto fiera (per fortuna non comprendono nomi propri maschili, anche se ci sono andata molto vicino), posso quindi dire di aver vissuto pienamente i miei vent’anni in tutte le loro multiformi, irriverenti, pericolose, divertenti, angoscianti sfaccettature.

Gli adulti, quei trentenni decrepiti ormai sul viale del tramonto, quelli davvero grandi,ai tempi mi dicevano:

Vent’anni, che bella età!

Ma sì, divertiti, che te frega! Ci penserai quando sarai più grande!

Ah, vent’anni…fai più cazzate che puoi, un giorno rimpiangerai di non poterlo fare!

E io non capivo.

Ma onestamente non capisco nemmeno ora.

Mi spiego. Sarà che sono una persona che tende a non prendere le cose alla leggera, di conseguenza quello che ho vissuto più sulla mia pelle dei miei vent’anni è stata l’incertezza. Sono nata all’inizio degli anni ’80, va da sé che, con i cambiamenti sociali, l’incredibile crisi che sarebbe arrivata di lì a poco, l’avvento della tecnologia, la xenofobia data dal terrorismo incalzante, dai fatti dell’11 settembre e da altre dinamiche socio-politiche piuttosto contorte, la riforma universitaria e la nascita di nuove professioni, la disgregazione delle famiglie e l’evoluzione dei mezzi di comunicazione, la mia generazione è stata una generazione a cavallo di un mondo che stava subendo una serie di enormi cambiamenti che non si sono ancora del tutto assestati.

Ne consegue che tolti i frizzi e i lazzi del caso, nei miei vent’anni non c’è stato assolutamente nulla di stabile.

Che palle che sei, direte voi. Già, me lo dico anche da sola, ma un sacco di anni fa una persona mi ha detto per caso

Ricordati che non è mai troppo presto per prenderti sul serio. Prenditi sul serio prima che puoi

e solo anni dopo ho scoperto quanto fosse utile e vero quel consiglio.

Quello che ricordo dei miei vent’anni è una vocina dentro di me che mi diceva che non stavo facendo il meglio che potessi fare, ma non l’ho mai ascoltata. Quello che abbiamo fatto tutti, suppongo. Ricordo una grande instabilità, una grande inquietudine, ricordo la sensazione di essere la persona sbagliata al momento sbagliato, alla costante ricerca del mio posto nel mondo. Non sapevo nulla di me, assolutamente nulla, e non avevo né i mezzi né la voglia per cercare di capire come fossi per davvero. Quello che ricordo di quegli anni è di non essermi presa abbastanza sul serio.

Certo, ho anche dei ricordi meravigliosi di quel decennio: il primo amore, la prima macchina, i viaggi divertenti, le mie amiche e chi più ne ha più ne metta. Ma sono cose che ci sono ancora adesso nella mia vita (la macchina per fortuna l’ho cambiata), sono pietre miliari che non hanno nulla a che fare con quella brama di trasgredire e di essere insensatamente stupidi che tendenzialmente tutti abbiamo a quell’età. Le cose belle che mi sono capitate a vent’anni potrebbero capitarmi anche domani, perché sono momenti di vita emozionanti, non legati all’età. Anzi, solo col senno di poi mi rendo conto che le cose davvero importanti che mi sono capitate in quegli anni non le ho nemmeno percepite come tali, troppo presa a cercare di uniformarmi a quello che la società ci chiedeva di essere. Dei miei vent’anni porto nel cuore molti momenti, ma nessuno di questi includeva una discoteca, dell’alcool o dei comportamenti di cui prima o poi mi sarei pentita.

Non tornerei indietro, se potessi: sono entrata nei trenta da due anni, e sento che finalmente questa è la mia dimensione. Finalmente sto imparando a rilassarmi, a staccare la spina.

Quello che è cambiato rispetto a dieci anni fa, è che ho smesso di chiedermi incessantemente chi sono, perché ho capito che non c’è una risposta (almeno, non una sola).

Ho smesso di cercare di essere perfetta, perché ho capito che perfetta non lo sarò mai, e la cosa mi piace, mi piace molto di più della me perfetta. Ho smesso di perdere tempo con cose che non mi interessano, ho smesso di frequentare persone con cui, in fin dei conti, non ho davvero qualcosa da condividere. Ho imparato a conoscermi di più, a rispettarmi di più, a capire i miei limiti e decidere quando sia il caso di superarli o lasciarli lì, come dettagli che caratterizzano la personalità dell’uomo e lo rendono unico. Ho imparato a pretendere il meglio da me stessa solo quando mi interessa davvero tirare fuori il meglio da me, e ad accettare che a volte tirare fuori il buono basta e avanza. quote-peace

Purtroppo i vent’anni, spogliati dal loro (eventuale) lato divertente, sono anni pieni di incertezze dove siamo però chiamati a porre le fondamenta della nostra vita da adulti: a meno che non decidiamo di essere Lady Gaga o Kim Kardashian, in quegli anni abbiamo l’obbligo di prendere delle decisioni sensate quando la nostra mente non sempre riesce a capire il significato più vero della parola sensato

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Kim Kardashian e le sue ottime decisioni prese a vent’anni.

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Lady Gaga e le ottime decisioni prese a vent’anni.
Ad esempio, a vent’anni è sensato scappare a piedi da una discoteca distante diciamo una ventina di chilometri da casa, nel mezzo della notte, senza soldi e con il cellulare scarico, fare l’autostop e tornare a casa su una Fiat panda con un gruppo di punk strafatti- ogni riferimento autobiografico è puramente casuale, ndr-.

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Lì eravamo ai livelli “danza esotica” o addirittura “sto bene, sto bene”
Potessi tornare indietro e incontrare la me di 20 anni, mi consiglierei di studiare di più: non per chissà quale utile ritorno, ma solo perché, lontana dalle distrazioni, negli anni ho scoperto, incredibilmente, di essere un topo di biblioteca. Nulla mi dà più soddisfazione dello scovare uno scrittore che amo e leggermi tutte le sue opere e la critica letteraria. Mi direi di non dire alla prof di educazione fisica di infilarsi il cellulare nelle mutande con la vibrazione accesa perché ho capito solo dopo che atteggiamenti del genere non offendevano il malcapitato di turno, ma definivano me come persona, e non mi definivano bene -anche se suppongo che ai tempi la mia insegnante abbia fatto tesoro di quel consiglio, dato che non mi ha più dato note di demerito e si è improvvisamente calmata e ha iniziato a guardarmi con circospezione. Per contro, invece, se tentassero di sospendermi dopo aver intercettato un bigliettino sospetto mandato alla mia compagna di banco, farei ancora esattamente quello che ho fatto: me lo mangerei, perché l’incredulità sulla faccia del preside era stata molto divertente da osservare. Insomma, l’appellativo Satanaingonnella dovrà pur venire da qualche parte.

Mi direi di ascoltare di più i consigli di chi era più grande di me, e mi direi anche di fare delle follie, ma delle follie sensate: partire improvvisamente per sei mesi di lavori improbabili a San Pietroburgo è una follia costruttiva, uscire di casa alle tre di notte per andare ad attaccarmi al citofono del fidanzato di turno che mi aveva tradito, bè, non lo era. Comunque ci tengo a precisare che quella notte ho anche tentato di picchiarlo, così giusto per coerenza storica. Se lo meritava.

Se potessi incontrare la me ventenne mi suggerirei di perdere meno tempo con gli altri, e passarne più in compagnia di me stessa: è una cosa che negli anni poi ho fatto comunque, ma non è mai troppo presto per iniziare, e io avrei voluto iniziare prima. Mi direi che sono bellissima così, perchè in effetti lo ero, ma anche se non lo fossi stata non farebbe differenza, me lo direi lo stesso. Mi direi di fare più sport, per il semplice motivo che ho scoperto, negli anni, che è una delle droghe naturali più forti che possano esistere, e che nulla ti allenta la mente più di una bella corsa (bè, ok, ci sono anche altre cose, sì, quelle cose, ma questo in fin dei conti è un post più o meno serio). Mi costringerei a notare quanto sono giovane, e quanta vita ho davanti. Se incontrassi la me ventenne, in definitiva, mi direi:

Tieni duro perché a trent’anni sarà una figata.

 

E in effetti lo è.

I trent’anni mi han fatto capire che i venti mi sono serviti solo per realizzare quello che non volevo, il che è già un buon punto di partenza. E per capire che i Gin Tonic sono qualcosa che deve rimanere nel decennio precedente.

I vent’anni mi hanno insegnato a dire ai ventenni di adesso, che mi prendono per una vecchia decrepita (anche se in realtà io preferisco sentirmi più come la mamma di Stifler),

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Stifler’s mom. Ma chiamatemi pure Janine.
cose più sensate di quelle che ai miei tempi i trentenni dicevano a me:

Fate esperienze, prendetevi sul serio. La vita non aspetta, nemmeno quando hai 20 anni.

Il punto, come dice Guccini, è che a trent’anni è sì tutto intero, ma è un intero da distruggere e ricostruire con basi migliori.

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Dear 30, let’s rock!
E voi cosa direste alla vostra versione ventenne, se la poteste incontrare?

Che ne sai dell’amore tu che sei single?

Succede sempre così.

Nelle conversazioni forzate da ascensore con i vicini di casa.

L’amica di tua nonna che sciaguratamente capita lì proprio mentre tu hai deciso di passare a salutare.

La collega alla macchinetta del caffè.

L’ex compagna di classe che incontri in coda in posta, o per le vie del centro.

In ogni situazione da convenevole generico, tra un ti trovo bene! (grazie per avermi rassicurato, molto felice di aver passato l’esame, forse prima di oggi sembravo Sloth dei Goonies?)

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Io qualche anno fa.

tra un vivi sempre…lì? (oh, no. No no. Mi sono trasferita a Los Angeles dove ho intrapreso con una certa soddisfazione la carriera da spogliarellista, ora però meditavo di buttarmi nel ramo rapimenti e omicidi, tanto per cambiare un po’), e altre domande di cui nessuno (io per prima) ascolta mai la risposta per davvero, acquattata nel buio, sta

La domanda delle domande:

E il fidanzato? 

Pronunciata con un tono carico di attesa, di aspettativa. Con le vocali strascicate. Con lo sguardo furbetto. Con una certa malizia.Quasi con uno schiocco della lingua. Con degli occhi che ti guardano fissi da cui non puoi sfuggire.

Ora, dato il cipiglio della sottoscritta, non è raro che io blateri delle risposte creative atte a creare un senso di smarrimento e sorpresa  nell’interlocutore impiccione.

Fidanzato? No, no. Per me solo sesso occasionale.

Ahimè, nemmeno questo genere di risposte mette a tacere l’interlocutore impiccione (devo dire che però sulle amiche di mia nonna ha sempre degli effetti scoppiettanti), che nella maggior parte dei casi si sente in dovere di esprimere un’articolata opinione nei confronti della posizione sentimentale dei single, soprattutto superata la trentina.

Non è possibile sfuggire a questa filippica: il problema non è tanto sembrare maleducati nelle risposte, quanto il fatto che, misteriosamente, benché la gente non abbia mai il tempo per fare e pensare a nulla, davanti a queste cose invece si sente in dovere di perdere quei dieci minuti per convertirti, per farti ragionare. E quella che dovrebbe essere un’innocua conversazione di convenevoli diventa, in automatico, una brutta versione di un’opera beckettiana a più livelli di lettura, diretta da un gruppo teatrale amatoriale dell’oratorio. Inutile dire che in ogni livello di lettura ne uscirai perdente.

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Se conoscete Beckett, bene. Se non lo conoscete, vi basti sapere che la sua opera più famosa viene sempre inscenata così. Ci sarà un motivo se lo chiamano “teatro dell’assurdo”, no?

Ora, facciamo un passo indietro.

Ci sono milioni di miliardi di motivazioni che conducono una persona ad essere single nel corso della propria vita. Ci sono matrimoni e storie finite che lasciano uno strascico, ci sono momenti in cui uno non ha voglia, ci sono momenti in cui uno decide di dedicarsi con estremo profitto, per davvero, al sesso occasionale (ma giuro che questo non è il mio caso), ci sono momenti in cui uno potrebbe aver paura di mettersi in gioco (umani=imperfetti, no?), ci sono momenti in cui uno magari avrebbe anche voglia di mettersi in gioco, ma bè, si sa, per stare in coppia c’è bisogno di un altro adulto consenziente, e non esiste una bacchetta magica per farlo comparire a comando.

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Vi presento John, il mio nuovo ragazzo. Non mi andava più di stare sola. Il mondo è delle coppie!! E poi, quei baffetti…

E poi c’è un’altra grande categoria, che per qualche motivo il mondo sembra ignorare.

Quelli che sono felici da soli

Incredibile eh?

Già.

C’è una fitta comunità di persone che sono incredibilmente felici di trascorrere la propria vita da soli, e questo, mi sento di affermare, è il mio caso.

Attenzione: quando dico incredibilmente felici, intendo dire esattamente quello che sto dicendo: incredibilmente felici. Non intendo dire che è un ripiego, non intendo dire che è in attesa di qualcuno, non mi riferisco a quelli che hanno il cuore spezzato e si aggirano per casa con la barba di una settimana (anche donne), non intendo dire che le nostre giornate trascorrono in un monolocale buio e senza riscaldamento, rannicchiati per terra a bere un bicchiere di aranciata sgasata del Lidl, guardando tutte le repliche di Tempesta d’amore.

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Per chi se lo stia chiedendo: Tempesta d’amore è quella terribile soap opera di Rete Quattro che si svolge, tipo, in un albergo, ricca di colpi di scena e dialoghi intelligenti, come si può dedurre da questa immagine. Se non erro è basata su una commedia di Shakespeare.

Ci sono persone per cui stare soli non è un ripiego, o una mesta accettazione dei fatti, ma una semplice conditio sine qua non, prima di potersi innamorare di qualcuno. Mi spiego, e, anche qui, mi butto a pesce su un’idea banale che però sembra essere considerata tutto sommato da pochi: come diavolo puoi essere felice con qualcuno se prima non hai imparato ad essere felice con te stesso?

Come diavolo puoi capire cosa cerchi in una persona se prima non capisci cosa vuoi da te? Se prima non capisci quali sono i tuoi desideri, quali sono le tue naturali inclinazioni, quale sia la tua più vera essenza? Ma a prescindere, chi l’ha detto che devi stare in coppia per forza, perché insomma hai già trent’anni, perché sì va bè ma da sola cosa fai, perché non siamo fatti per stare soli e altre idiozie del genere?

Ora, a seguito di queste osservazioni preliminari, attenzione, perché giungiamo al punto caldo della questione: ammesso e non concesso che siamo riusciti a mettere a tacere l’interlocutore impiccione dopo le domande impiccianti, secondo una mia personale statistica che ho visto verificarsi più o meno nel 99% dei casi, dopo aver dichiarato di essere felicemente single, dopo aver tentato di spiegare che no, non siamo reclusi in casa a sentire a ripetizione tutta la discografia di Biagio Antonacci, e sembra folle, ma c’è una vita oltre alla coppia, di solito arriva la seguente affermazione

Va bè dai. Ma dici così perché non hai trovato quello giusto. Vedrai che poi quando arriva…

C’è poi un corollario di considerazioni che si agganciano alla frase principale: è ovvio che dici così, sei single. Vedrai che quando ti fidanzerai ti ammorbidirai (scusate, ma che diamine sono, l’orsacchiotto coccolino? Versami un po’ di ammorbidente in testa e le mie orecchie pelose diventeranno morbidose?). Oppure: ma sì, bella vita che fai, senza obblighi, solo divertimento.  E ancora: come fai a sentirti donna, a sentirti desiderata, senza un uomo? E poi: ma sì, ma che ne vuoi capire te dell’amore, che sei single?

Boom, baby.

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Se prima di pronunciare tale affermazione riuscite a farvi crescere la barba e a mettere su una trentina di kg funziona meglio, credetemi.

Ora, dico: va bene la curiosità della gente che ahimè vuole dispensare consigli a destra e a manca, ma questo è troppo.

Innanzitutto, non è che decidendo attivamente, consapevolmente, e felicemente, di essere single fino a nuovo ordine, io abbia anche acquistato un biglietto vitalizio per una vita di dissoluzione, divertimento e barzellette sconce. La mia vita, come quella di qualunque altro single, è una vita che prevede sì del divertimento, come è giusto che sia, ma non è necessariamente una vita basata su avventure di una notte e pratiche sessuali libertine: è una vita normalissima senza però gli obblighi di coppia, fino a che non ne sono convinta davvero. E’ una vita esattamente come la vita di chi è sposato, solo che io non sono costretta a sopportare il russare notturno di un marito che ho sposato solo per non sentirmi sola, o a smussare certi lati del mio carattere (che non ho nessuna intenzione di smussare) per poter compiacere qualcun altro, e roba simile.

E’ una vita fatta comunque di obblighi, di problemi, di momenti divertenti, di cose che mi fanno sentire donna a prescindere, perché l’essere donna è una condizione biologica che nessuno ci leva, non è una condizione che si verifica solo quando qualcuno ci fa da specchio e ci restituisce un’immagine femminile di noi stesse. Se non ti senti abbastanza donna senza un uomo di fianco, il problema è dentro di te, non nella tua condizione sentimentale, mi sembra piuttosto semplice.

Il giungere invece all’errata conclusione che una persona sia single perché non è mai stata innamorata, o perché non ha ancora incontrato quello giusto mi sembra un’affermazione degna di un team di psichiatri di Harvard guidati da Barbara d’Urso: psicologia da quattro soldi ne abbiamo?

Il punto è che essere single in maniera permanente non fa di te una persona incapace di amare, o una persona che non sa nulla di amore e sentimenti. Anzi, forse è proprio perché sei stata innamorata per davvero, che, una volta finita, hai capito quali siano i sentimenti per cui valga la pena di mettersi in gioco, e quali no. Forse è proprio per aver già trovato la persona giusta, che magari è stata giusta solo per un pezzo di vita, solo per un’altra versione di te, che ora non esiste più, perché il nostro scopo in quanto umani è quello di evolverci continuamente, che hai deciso di rimanere sola: perché o arriva un’altra persona giusta per la versione di te attuale, o cippa. Forse è proprio dopo essere stata innamorata, dopo aver commesso gli errori che tutti commettono, dopo aver vissuto le delusioni che tutti vivono, e i momenti fantastici che tutti vivono, che hai definito con più precisione il tuo concetto di metà, e non sei disposta a fare tentativi a vuoto per riempire la tua vita con delle pallide imitazioni che devi farti andare bene.

Non lo ha detto nessuno che bisogna per forza trovarsi qualcuno, l’essere soli è semplicemente un attributo che caratterizza l’essere umano, come l’essere alto, l’essere basso, l’essere ateo o l’essere vegetariano.

Per un qualche motivo, la società ci ha insegnato a scandalizzarci davanti a chi della propria felice solitudine fa la propria bandiera, ma non davanti a chi decide di fare un corso di taglio e cucito anziché un corso di ceramica. O di scandalizzarci davanti a chi decide di andare in giro in bicicletta e non in macchina, o davanti a chi decide di tingersi i capelli e chi no. Vi immaginate? Oh mio Dio, ma non ti sei mai tinta i capelli? Eh…dici così perché non hai mai provato…vedrai che quando te li tingi sarà tutta un’altra cosa. Ma no. Ma anche no. Sono scelte come altre, assolutamente soggettive e personali.

Il lasso di tempo riempito da cose che rendono felici noi stessi a prescindere dalla coppia non si chiama tempo passato in attesa di trovare qualcuno con cui stare per sempre, si chiama

vita.

Poi, per chi proprio non vuole stare solo, c’è sempre John.

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#IoStoconJohn

 

 

 

Come sopravvivere ai buoni propositi per il 2016

Suoni new age della foresta. Passerotti che cantano, ruscello che scorre. Pioggia delicata che cade sulle foglie degli alberi in Amazzonia.

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La freschezza di un nuovo anno.

La mattina del 1 gennaio 2016. Un nuovo mondo si apre davanti ai tuoi occhi. L’aria è fresca, tersa e cristallina, ti svegli e appoggi i tuoi curatissimi piedi nudi sul pavimento. Ti stiracchi, guardi fuori dalla finestra e vedi un paesaggio innevato. Ti guardi allo specchio e sei fresca e riposata come una rosa, esattamente come Natalie Imbruglia nei suoi migliori video di fine anni 90.

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Ti butti sotto la doccia cantando una canzoncina, hai messo sul fuoco una tisana detox al ribes e la berrai più tardi leggendo un quotidiano, mentre trai ispirazione per la giornata che verrà. Ti infili addosso una tuta, dei calzettoni e un cappellino di lana e sei fighissima, agguanti il guinzaglio dei tuoi due labrador ed esci a fare una passeggiata, respirando il vento di novità, giocando a palle di neve, facendo anche una corsa che ti arrossa leggermente le gote.

Rientri in casa, bevi la tua tisana con delle fette biscottate integrali, fai mezz’oretta di yoga, poi prendi delle matite fighissime e ti metti a colorare un libro di mandala da colorare per adulti per scacciare lo stress, e intorno a ora di pranzo nel giro di dieci minuti prepari un brunch per quaranta amici, senza grassi, con gli avanzi di Natale e Capodanno.

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Durante il pranzo pianificate un giro per l’Europa intorno a Pasqua, e nessuno ha problemi di ferie, lavoro, soldi, famiglia, impegni e così via.

Ecco, questo è quello che succederebbe se mettessi in pratica tutte le prescrizioni che hai scolpito a lettere di fuoco nella tua testa fino al giorno precedente.

Rumore di vetri rotti fuori campo.

Rewind.

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Ecco come è andata per davvero. E’ possibile avere la colonna sonora di Star Wars in sottofondo?

E’ il primo gennaio 2016, e ti svegli, anche se sarebbe più opportuno parlare di miracolosa resurrezione (qualcosa che nella storia è successo, forse, solo una volta, svariati millenni fa e aveva come protagonista Lazzaro e pochi altri fortunati badass), dato quello che è successo la notte precedente. E’ più o meno ora di pranzo, hai addosso ancora le collant che misteriosamente sono bucate da lapilli di cenere lanciata da chissà chi, chissà quando e chissà dove: una bottiglia di vodka mezza vuota è rovesciata sul tappeto (perché a capodanno bisogna festeggiare, no?), butti giù un piede dal letto e faticosamente ricordi di averne due, quindi trascini anche l’altro verso il pavimento. Ti alzi, e riesci a stare in piedi non con una certa sorpresa: nella tua testa ci sono delle campane che suonano pasquali anche se non è Pasqua, e sembra che tutti i suonatori di gong del pianeta abbiano deciso di ritrovarsi nel tuo emisfero destro per ricordarti che sì, è il primo gennaio, e che sì, hai decisamente bevuto troppo.

Ricordi confusamente qualcuno che ti parlava di impacchettare due gemelle con della pellicola trasparente mentre guardava gli asinelli nel proprio giardino, e di essere stata rinchiusa nello stanzino delle scope da qualche burlone per un tempo interminabile- true story, ho anche i testimoni, e non ho nemmeno l’attenuante di capodanno perché non era capodanno.

Strisci fino alla cucina dove tenti disperatamente di ricordare tutte quelle fregnacce su come combattere i postumi di una sbronza: banane? Aspirina? Doppio caffè e doccia fredda? Decidi di provarle tutte insieme, ovviamente senza nessun esito positivo, perché, bè, i postumi sono il modo che ha l’universo per ricordarti perché l’alcol fa male, soprattutto se assunto dopo i trent’anni.

Sempre ammesso che ti venga in mente di prendere il cane e portarlo a fare una passeggiata, il tuo aspetto è quanto di più lontano possa esistere da Natalie Imbruglia:

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Infatti sembri lei, e lei, bè, non è Natalie.

L’ultima cosa che ti viene in mente è quella di invitare i tuoi amici per un brunch, anche perché se tu avessi le forze di aprire la dispensa scopriresti che dentro c’è solo una crosta di pandoro rinsecchita e tre cioccolatini alla fragola.

Sì, che poi, chi è quel mentecatto che si mangia i cioccolatini alla fragola? Dovrebbero essere inseriti nell’elenco degli alimenti velenosi per la specie umana. E soprattutto qualcuno mi spiega a cosa servano i brunch?

Decidi comunque di accendere il telefono che a un certo punto della nottata hai spento, solo per ricevere una serie di messaggi sconclusionati da ex partner che non sentivi dal 1999, quando eravate ancora minorenni e lui aveva ancora tutti i capelli, mail della Vodafone che ti augura un felice anno e immagini imbarazzanti della festa a cui hai partecipato.

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Questa era in particolare la mia faccia. Ero così sotto shock nel leggere certi messaggi che ho temporaneamente cambiato sesso ed etnia.

L’ultima cosa a cui penserai la mattina del 1 gennaio di qualsiasi anno saranno i buoni propositi che ti sei affannato ad elencare nelle settimane precedenti.

Ora, questo mi sembra uno scenario tutto sommato veritiero.

Tutto sommato più veritiero del primo scenario descritto. Il web e l’immancabile Studio Aperto nelle ultime settimane hanno iniziato a pullulare di angoscianti elenchi di buoni propositi per l’anno nuovo. Secondo le statistiche nei mesi che vanno da gennaio a marzo le parole dieta e palestra sono tra le più cliccate su Google. Non ho trovato altre statistiche ufficiali, ma sento di poter affermare con certezza che altri temi caldi potrebbero essere lo smettere di fumare, il dormire di più, l’essere meno stressati, il volersi più bene, il trovare un nuovo fidanzato, e altre cose magari meno generiche: scrivere un libro, iscriversi al corso di Tedesco, fare un viaggio, smetterla di spendere soldi in stronzate, eccetera, eccetera, eccetera.

Ci passiamo tutti, dal giro di boa del nuovo anno. Ora, io ho calcato un po’ la mano nella mia ricostruzione, ma alzi la mano chi non ha mai avuto un capodanno il cui giorno dopo ti svegli come se ti fosse passato addosso uno schiacciasassi. E’ una certezza della vita, come l’alternarsi delle maree e i testi imbarazzanti di Gigi d’Alessio.

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Eppure ancora non riesco a farmene una ragione dei suoi testi. Chissà quali sono i suoi propositi 2016.

Quest’anno per fortuna il mio capodanno non è stato così perché ho optato per una soluzione più sfigata soft, ma cambia poco: l’umanità intera la mattina del primo gennaio sente su di sé il peso dell’aspettativa dei buoni propositi che non metterà in atto neanche quest’anno.

Partiamo da un presupposto; il tempo non esiste. E’ pura invenzione, è solo una convenzione. Lo scandire del tempo ci torna molto utile per un’infinità di azioni del nostro quotidiano, ma in questo caso, allo scadere dell’anno, a mio avviso gioca a nostro sfavore. Eh sì, perché è una scadenza irreale, forzata, che fa seguito ad un periodo impegnativo, cioè quello delle feste di Natale, dove molto probabilmente siamo reduci da un tour de force gastronomico, giorni di viaggio, ricerche di regali forsennate, conversazioni scomode con tutta la dinastia familiare, e visioni ripetute di sos fantasmi con Bill Murray che, non so a voi, ma a me fa sempre un po’ piangere.

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Ecco magari non proprio questa scena.

Dunque a Capodanno ci arriviamo già stremati, con alle spalle il Natale passato e davanti il nuovo anno pieno di nuove sfide, di scheletri nell’armadio da nascondere, di aspettative nei confronti di noi stessi, e troppo spesso

il nuovo anno diventa il comodo contenitore dentro a cui proiettare quello che vorremmo essere e che non riusciamo ad essere, quello che vorremmo fare ma per qualche motivo non facciamo mai, quel futuro ipotetico a cui pensiamo in continuazione e che non mettiamo mai in pratica davvero. Il nuovo anno sta alla vita come il lunedì sta alla dieta: è una farsa.

Dico che è una farsa perché se siamo arrivati al nuovo anno con dei buoni propositi, vuol dire che non abbiamo fatto bene i compiti nei 365 giorni precedenti. Dico così perché se abbiamo bisogno di una scadenza imposta dalla storia e dalla società per essere quello che vorremmo essere davvero e fare quello che vorremmo fare davvero, vuol dire che forse non abbiamo tutta questa fretta di trasformarci nella nuova, migliorata versione di noi stessi.

Io per prima mi sono macchiata dell’orrendo crimine di aver propositato  a destra e a manca per anni, senza rendermi conto che se avessi messo nelle mie azioni tutta l’energia che ho messo nelle pontificazioni su di esse, avrei perso molto meno tempo e avrei capito molto prima dove andare (e di conseguenza dove non andare) a parare.

Il punto è che dovremmo levarci dalla mente questa menata dei buoni propositi, e cercare di capire dentro di noi cosa vogliamo fare ed essere, e cercare di farlo sempre, comunque, a prescindere dalle scadenze imposte dal calendario.

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Il momento buono è sempre adesso: suona melenso, sdolcinato, impossibile e automotivazionale, ma tutte queste sfumature non diminuiscono la banale, semplice verità di questo concetto. Siate, anzi, mi ci metto dentro anche io, siamo, o almeno tentiamo, di essere ciò che vogliamo essere sempre, e non solo il primo dell’anno. Non carichiamoci di aspettative inutili e disumane e ascoltiamo la voce dentro di noi che ci indica esattamente la via, non solo a gennaio, ma sempre: sono sicura che il primo gennaio, sepolta sotto ai cappellini di glitter, alle trombette e alle giarrettiere rosse quella vocina c’era, e stava sussurrando:

Non metterti a dieta. Perché non è questo di cui hai davvero bisogno.

A fronte di un web che ci massacra le cosiddette con articoli, suggerimenti e addirittura liste di app da scaricare per tenere fede ai nostri nuovi propositi, io mi oppongo. Torniamo alla semplicità.

Dopo un 2015 in cui ho imparato a dire sì, il mio unico buon proposito per il 2016 è non avere propositi, nella speranza di poter impegnare le mie energie per smettere di autosabotare quello che vorrei essere durante tutto l’anno. Questo è il vero grande obiettivo.

Sempre.

Ps: Non perdete troppo tempo con i buoni propositi anche perché da domani una nuova, intrepida sfida ci attende.

Sssssssssssaldi!

Per chi si fosse perso le puntate precedenti…

http://wp.me/p6HjTu-V

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Ciao 2015, è stato bello.

Come ogni anno intorno alla fine di Dicembre mi trovo a fare delle considerazioni sui 365 giorni appena passati. Come ogni anno mi trovo a scrivere queste considerazioni.

Negli anni passati l’ho fatto su Facebook, ma per la vostra gioia quest’anno ho deciso di attediare un pubblico più vasto, quindi ecco il primo post in cui non vedrete banane ammiccanti, meme di Kanye West o brutte foto motivazionali. Questo è un post serio.

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Anche perchè sospetto che l’effetto delle immagini pubblicate fino ad adesso sia  stato questo.

Ma veniamo a noi.

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Ovviamente il vero tatuaggio è quello in rosso: TAIM AND LAIF

Esattamente un anno fa mi stavo facendo tatuare su un polso le seguenti parole, e con me mia sorella e la mia migliore amica: tutte e tre abbiamo deciso quella sera di tatuarci qualcosa che celebrasse la vita e il tempo, che facesse da monito per non sprecare nessuna delle due cose, e questa è stata la mia interpretazione.

Vorrei prevenire le domande scettiche sui tatuaggi dichiarando che sì, resterà per sempre, e che sì, almeno mi ricordo bene questi due concetti, e che no, non fa male anche se in quel punto si gonfia davvero tanto e pizzica da morire, e che no, non mi annoio anche se lo vedo tutti i giorni, e che no, non è l’unico che ho ma ne ho molti altri, e che anche se ho dei tatuaggi non è necessario che chiunque lo veda condivida con me la propria opinione in merito, o eventuali proposte di tatuaggi da fare, e che sì, da vecchia sarò tatuata come la maggior parte delle persone della mia generazione, sarò una vecchia fighissima e tatuata, e quando la mia pelle e le mie chiappe cascheranno, come quelle di chiunque abbia superato una certa età a parte Amanda Lear, l’effetto finale sarà sgradevole comunque, a prescindere dal fatto che sulla pelle ci sia un tatuaggio o no.

Detto questo, anche se può sembrare un’idea stupida forse, avere queste parole scritte su un polso è stata la bussola che mi ha diretto per tutto l’anno a venire.

Per la prima volta nella mia vita, alla fine dell’anno, riguardandomi indietro mi viene da dire che questo non è stato un brutto anno, non è stato un bell’anno, perchè, semplicemente, è stato un anno: sono successe così tante cose, fuori e dentro di me, e di così grande forza e intensità, da non essere classificabili in gioie e dolori ma semplicemente in eventi di vita, e suppongo che il senso del binomio tempo/vita che passa sia proprio questo:

Riempire la vita di cose che stanno fuori e dentro di noi, riempirla così tanto da non capire più se siano cose brutte o belle, l’importante è essere sicuri che siano vita.

Alla luce di questo, e di quelle due paroline che mi sono tatuata, mi sono data un solo vero, grande proposito per l’anno che stava per iniziare: dire sempre di sì.

Che banalità, diranno taluni. Certo, è una delle idee più banali del mondo. Ma quante volte lo facciamo per davvero? Quante volte permettiamo a quei sì che ci spaventano, a quei sì che ci fanno sentire in colpa, a quei sì che ci farebbero sentire felici, a quei sì che non ci fanno sentire per nulla felici ma che abbiamo il dovere di pronunciare, di uscire dalla nostra bocca senza essere bloccati dalla masnada di pensieri automatici che si attivano ogni volta che ci troviamo davanti al baratro di una scelta?

Per me questo è stato l’anno del sì dopo molti, moltissimi anni passati a dire di no. Devo dire che non sempre è andata bene, certi sì me li sarei potuti risparmiare – pausa per ridacchiare sotto i baffi– ma sono proprio i sì che mi hanno fatto divertire di più.

Gli inglesi hanno un modo di dire molto interessante:

But is pernicious

Che tradotto suonerebbe come il ma è nefasto.

Stars unite in exclusive Stand Up To Cancer film - Tom Hardy
Scusate, ma ci terrei a farvi notare che se la Gran Bretagna ha generato elementi come questo nella foto, vale la pena di sentire quello che ha da dire.

E in effetti lo è: per ogni sì che avrei voluto dire in passato, per ogni sì che tutti noi, suppongo, vorremmo dire, troviamo sempre una decina di buoni ma nefasti ma pronti a bloccarlo, a soffocarlo. Io quest’anno ho deciso di evitare perniciosità di genere, e di dire sì a prescindere, quando quei sì arrivavano dal mio volere, dal mio cuore, dal mio istinto, e non dal pensiero che fosse giusto o sbagliato dirlo, o, ancora peggio, sulla scia delle varie aspettative nei mie confronti.

Ho detto sì a una vita meno frenetica. Ho detto sì a vicende sentimentali improbabili solo perchè non trovavo dei buoni motivi per dire ancora no: per gli strafighi: grazie, è stato bello. Per coloro per cui sono scomparsa…perdonatemi, ma non mi sentivo di dire sì di nuovo. perdonatemi due volte, sono dei gemelli. E non dite che non vi avevo avvisato.

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Ho detto sì a me stessa, sì, fatti valere, quando ho visto che qualcuno stava tentando di calpestarmi: davanti a chi non è riuscito a capire come io sia veramente, ho detto sì cara, smettila di perdere tempo, smettila di sentirti in dovere di giustificare come sei fatta e guarda da un’altra parte.

Ho detto sì a una vita più indulgente verso me stessa: chi l’ha detto che devi essere sempre perfetta? Chi ha detto che devi sempre avere gli addominali in vista? Chi ha detto che ti devi sparare svariate ore di palestra svariate volte alla settimana quando ci sono così tante cose belle da fare e da vedere? Per gli stessi motivi ho detto sì alle brioches al mattino al posto delle fette biscottate, perchè sapete che c’è di nuovo? Non devo partecipare alla sfilata degli Angeli di Victoria’s Secret domani

e quindi sti cazzi.

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La mia mancata partecipazione alla sfilata di quest’anno sarà il nostro segreto

Ho detto sì alle mie vere passioni: la scrittura, la letteratura, l’astrologia e i miei cani: sembra incredibile, ma fino ad adesso non lo avevo mai fatto per davvero. E ho detto sì mia cara, ascoltati di più, quando mi sono resa conto che non avevo nessuna voglia di andare in vacanza perchè stare sdraiata su un lettino sul terrazzo con dei cani intorno a leggere trattati di astrologia degli anni ’20, scrivere racconti e leggere tutto d’un fiato, per l’ennesima volta, tutte le opere di Paul Auster, mi dava più gratificazione che partire per Las Vegas e stare via un mese. Anche questo è dire sì,

 wanderlust -brama di girovagare- un par di ciuffoli, l’unica wanderlust che ho avuto quest’anno è stata quella di viaggiare nella mia mente per scoprire cosa ci fosse dentro, e il viaggio non è ancora finito.

Ho detto sì a strane presenze dolci amare che stavano in sospeso da troppo tempo, ed è stata una grande lezione di vita: dopo anni passati a barricarmi in me stessa, ho scoperto che la soluzione per risolvere certi rapporti è accettare che il tempo che passa ha cambiato te e ha cambiato anche l’altra persona, e che non c’è proprio niente di cui aver paura. E che anzi, è solo accettando il tuo passato e rendendoti conto che giusto o sbagliato che sia fa parte di te, puoi vivere serenamente il presente e cogliere le sfide del futuro. E poi mi son detta sì, sono stati momenti così intensi che sarà bene farsi un altro tatuaggio per ricordare. Un altro?? Sì, un altro, e stavolta ci sono andata giù pesante.

Ho detto sì a questo blog –ahimè- diranno i miei lettori, ahi voi- vi rispondo io, perchè questo è un sì piccolissimo rispetto all’anno che verrà –pausa per balletto celebrativo.

Ho detto sì, è il caso di perdonare torti che in fin dei conti non erano torti, metterci una pietra sopra e andare avanti, perchè la gente entra nella nostra vita per un motivo, e quando allontanarla ti richiede troppa energia vuol dire che stai sbagliando qualcosa, e stai allontanando qualcuno che invece dovrebbe stare con te.

Allo stesso modo ho detto sì a chi invece ha scelto di andare: vi lascio andare, siete liberi, perchè, allo stesso modo, spendere troppe energie per chi non vuole rimanere, per giustificare  l’ingiustificabile e capire l’incomprensibile sono azioni che pesano, nell’economia di una vita sana e degna di tale nome. Non importa di quale natura sia il legame che abbiamo, siete liberi. Fa un po’ male, ma è meglio accettare piuttosto che fingere che non sia così. E sapete una cosa? Ho scoperto che sono proprio le idee precostituite, i pregiudizi che abbiamo anche sui legami di una vita, alcune tra le catene più grosse che ci impediscono di essere noi stessi e di respirare.

Ho detto sì alle nuove conoscenze, sì alle partite a carte a casa di sconosciuti, sì ai cocktail natalizi alla cannella, si alle ciuche magistrali – in preda alle quali ho preso pessime, pessime decisioni, ma si vive una volta sola. Ho detto sì che ce ne frega, non importa se ci dobbiamo alzare presto, invece giriamo la macchina e andiamo a Portofino. Ho detto sì a fare cose che non avevo mai fatto, ho detto sì a una settimana passata a girovagare da sola in una città che non conoscevo, arrivando a casa la sera con i piedi distrutti e il cuoi capelluto scottato. Ho detto sì a cene indiane così piccanti da dover poi chiamare i pompieri, ho detto sì ai nomi esotici (chissà se stai leggendo anche tu), ho detto sì a nuove canzoni, ho detto sì a un nuovo look, perchè non importa cosa ci sia nel tuo passato, a volte devi avere il coraggio di guardarti nello specchio e cambiare tutto ancora. Ho detto sì a chi mi faceva davvero paura, quando tutti mi suggerivano di dire no, perchè in fin dei conti sapevo che non avevo nulla da temere, ma molto da dimostrare a me stessa, e sarei riuscita a farlo solo mettendomi alla prova. Ho detto sì a chi mi aveva già convinta al ciao (eccome, se mi avevi convinto), salvo poi scoprire che dopo il ciao non c’era molto (peccato), e allora lì ho dovuto dire sì alla parte di me che mi diceva tu meriti molto di più. La parte di me che diceva in ogni caso non meriti questo. Ho detto sì a far valere le mie ragioni, ho detto sì, dico la mia anche se sto per far scoppiare un casino di proporzioni grandi come la Cina, perchè ho imparato che non si può vivere nella paura di quello che potrebbe succedere.

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Scenari apocalittici dopo qualche sì d’impulso. Io sono quella di spalle.

Ho detto sì allo stare sola senza compromessi, perchè ho scoperto che stare dietro a me stessa, ma starci per davvero, è quasi un lavoro a tempo pieno e pare che io abbia ancora un sacco di arretrati da sistemare, e non credo di avere il tempo anche per preoccuparmi di farmi andare bene qualcuno.

Insomma, come potete vedere non è che io abbia detto sì alla scalata del Kilimangiaro, o a girare un film a luci rosse, o a rasarmi i capelli a zero, o ad entrare a far parte di Scientology come Tom Cruise: ho detto sì a cose normalissime, che capitano tutti i giorni, che per un sacco di tempo, per molti motivi che ancora adesso non capisco fino in fondo, e che forse prima o poi capirò, mi ero negata, e la mia vita è cambiata:

la grande lezione di quest’anno appena trascorso, sulla scia della semplicità del dire sempre si, è che le rivoluzioni partono dalle piccole cose, e che i potenziali sì si nascondono in ogni dettaglio. L’importante è guardare bene in ogni angolo e scovarli, perchè ogni sì non detto è un’occasione mancata per conoscere noi stessi e, più semplicemente, ogni sì mancato equivale a un no alla vita.

Dire sì anche alla cosa non universalmente, oggettivamente, moralmente giusta spesso ci fa scoprire quale sia la cosa migliore per noi.

Auguro a chiunque stia leggendo questo post, a chi mi ha insegnato a dire sì, a chi a cercato di impedirmelo, a chi mi ha lasciato imparare da sola che dire sì è un atto di amore verso se stessi, a chi è stato coinvolto nei miei sì, a chi è stato escluso dai miei sì, a chiunque abbia fatto parte di questo anno incredibile, che i prossimi 365 giorni siano un sì continuo.

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Buon 2016.